Srebrenica-Sarajevo, i serbi di Bosnia rileggono i massacri: «Va fatta piena luce»

Il ministro: obiettivo pacificazione. Ma scoppia la polemica. L’Alto rappresentante: «Già dichiarato il genocidio»

BELGRADO Uno sforzo necessario per stabilire la verità e raccontare tutta la storia, non solo una parte di essa, risuona una campana. Una macchinazione revisionistica, ribatte indignata l’altra. No, nei Balcani non è ancora giunto il tempo per una storia condivisa. Lo confermano le polemiche che in questi giorni stanno turbando la Bosnia. A provocarle, la nomina da parte della Republika Srpska (Rs) – una delle due entità che formano il Paese, quella dei serbo-bosniaci – dei presidenti e membri di due controverse commissioni d’inchiesta internazionali. Commissioni che dovranno fare ricerche sulle uccisioni di serbi e sulle «sofferenze» da loro patite «a Sarajevo nel periodo 1991-1995» e su quelle inflitte a «tutti i popoli nell’area di Srebrenica» fino al '95, ha specificato Banja Luka.

L’iniziativa nasce dopo che, lo scorso agosto, il Parlamento serbo-bosniaco ha annullato un vecchio rapporto su Srebrenica, adottato ufficialmente da Banja Luka nel 2004 ma visto come il fumo negli occhi dall’attuale leadership, in testa il nazionalista Milorad Dodik. La colpa dello studio: ammettere che quasi ottomila musulmani furono sterminati a Srebrenica dagli uomini di Ratko Mladić.

Il rapporto fu «preparato sulla base dei diktat» della comunità internazionale, è la versione di Banja Luka – che, come Belgrado, su Srebrenica riconosce che si trattò di gravissimi crimini, ma rigetta la definizione di genocidio. L’obiettivo delle commissioni, allora, dovrà essere quello di analizzare in maniera più oggettiva quanto accaduto nell’enclave e nella capitale assediata, con un focus sulle sofferenze dei serbi. Sofferenze che ci furono, ma in Bosnia toccare Srebrenica e Sarajevo – i due nervi più dolenti per i bosgnacchi – è una via sicura per riaccendere mai sopite tensioni e per suscitare sospetti di voler solo relativizzare o minimizzare enormi crimini. È un tema «delicato», ma i nuovi studi servono per arrivare a «una definitiva pacificazione», ha sostenuto però il ministro della Giustizia serbo-bosniaco, Anton Kasipović.

Non la pensano così familiari di vittime, come Munira Subasić e vari studiosi citati ieri da Radio Europa Libera, che hanno ribadito che tutto quanto accaduto a Srebrenica e Sarajevo è ormai stato acclarato. E neppure l’Alto Rappresentante in Bosnia, che ha ricordato che più tribunali internazionali hanno definito «genocidio» quanto accaduto a Srebrenica. Concorda la diplomazia Usa, che ha ricordato che «tutti devono rispettare» le sentenze, «per quanto siano dolorose». La «formazione delle commissioni» è una «negazione del genocidio» attraverso la «minimizzazione dei crimini», ha dichiarato da parte sua Ramiz Salkić, vicepresidente bosgnacco della Rs.

Si tratta di «un atto politico» per «mettere sullo stesso piano» crimini di portata diversa, ha rincarato l’ex sindaco di Srebrenica, Camil Duraković, mentre la ministra bosniaca per i Diritti umani, Semiha Borovac, ha detto che si tratta di commissioni «senza legittimità».

Critico anche l’Sda, il maggior partito bosgnacco. E di «mostruoso tentativo» di internazionalizzare il negazionismo hanno parlato i socialdemocratici del Fronte democratico, che hanno paventato proteste presso i Paesi di provenienza degli esperti delle commissioni. Esperti – tra cui il giornalista italiano Giuseppe Zaccaria, affiancato da altri studiosi e giuristi provenienti da Austria, Australia, Cina, Germania, Nigeria, Serbia e Usa - che rimangono con le bocche cucite. A parlare è stato invece l’accademico Gideon Greif, presidente della commissione su Srebrenica, israeliano come l’altro numero uno di quella su Sarajevo, il professor Raphael Israeli. Greif - stimato storico della Shoah ma al centro di critiche sul tema Jasenovac - che ha promesso fedeltà «ai fatti» e «alle vittime». E ha promesso di arrivare a una verità definitiva che, a suo dire, su Srebrenica ancora non ci sarebbe. —


 

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