Spuntano le ultime lettere di Nazario Sauro

Oggi alla Lega Nazionale il nipote dell’eroe, Romano, presenta il libro dedicato al nonno frutto di ricerche su carte inedite

Abbiamo dovuto attendere quasi cent’anni per conoscere tutti i retroscena della vita e della morte di Nazario Sauro, il patriota capodistriano impiccato a Pola il 10 agosto 1916. “Disertore e traditore” per la giustizia militare austriaca. Martire dell’italianità e dell’irredentismo mazziniano per tutti gli istriani e i triestini che si riconoscono nel Tricolore e nella tradizione risorgimentale. I grandi nodi della sua vita, gli interrogativi irrisolti della sua morte, gli stereotipi accumulatesi attorno alla sua figura negli anni del regime fascista, sono stati sciolti nelle pagine del volume appena realizzato da Romano Sauro, nipote dell’eroe, ammiraglio della Marina militare, appassionato di Storia patria e di navigazione a vela. Il libro ha per titolo ”Nazario Sauro, storia di un marinaio” ed è stato stampato dalla casa editrice La Musa Talia di Venezia. Sono 500 pagine alla cui realizzazione hanno contribuito sia Marco che Francesco Sauro, rispettivamente fratello e figlio dell’autore. «Il libro è il risultato dei dieci anni trascorsi a scavare in numerosi archivi, ad ascoltare le testimonianze indirette di chi aveva avuto in quale modo a che fare con mio nonno o con altri suoi commilitoni, a mettere in ordine e a restaurare un gran numero di fotografie di famiglia. Al termine del lavoro abbiamo capito che più della metà, anzi il 70 per cento delle notizie emerse erano del tutto nuove», spiega Romano Sauro che presenterà questa ponderosa e dolorosa ricerca nella sede della Lega Navale di Trieste oggi alle 18, assieme al presidente della sezione Pierpaolo Scubini e allo storico Bruno F. Crevati-Selvaggi. Determinante per una più precisa definizione degli ideali che hanno ispirato le scelte e l’azione di Nazario Sauro, è stata la forzatura di una antica cassaforte “murata dietro un divano letto” di una casa di montagna. All’interno erano riposte un paio di sue lettere. Documenti inediti che Libero, il figlio del martire, non aveva ritenuto di rendere pubblici ma che con la sua morte sono riemersi prepotentemente. Nazario Sauro aveva consegnato queste due lettere all’amico Silvio Stringari il 20 maggio 1915, “come se fosse consapevole del destino che lo attendeva” scrive l’autore del volume. Stringari le avrebbe dovute consegnare ai familiari nel caso Sauro fosse morto. «Se il destino non mi concedesse di assistere al dissolvimento dell’Austria, al sicuro trionfo delle nostre armi, alla sospirata liberazione dell’Istria mia e di tutte le terre italiane ancora oppresse, consegnerai alla mia morte queste due lettere che ti affido, una a mia moglie e una a mio figlio Nino. Sono il mio testamento. Qualunque cosa sarà di me di una cosa puoi essere certo: che saprò fare interamente il mio dovere». Le due lettere furono consegnate alla famiglia all’alba del 27 agosto 1916, prima che i congiunti di Sauro potessero apprendere dai titoli dei giornali stampati a Venezia dell’esecuzione, avvenuta due settimane prima. Nella prima lettera, indirizzata alla moglie, tra l’altro, si legge: «Cara Nina, non posso che chiederti perdono per averti lasciato con i nostri cinque bimbi ancora col latte; e so quanto dovrai lottare e patire per portarli e lasciarli sulla buona strada. Siate pur felici. Cara consorte insegna i nostri figli che il loro padre fu prima italiano, poi padre e poi uomo. Nazario».

Quando il boia Joseph Lang strinse il cappio attorno al collo dell’eroe capodistriano, Nazario Sauro aveva compiuto 62 missioni di guerra a bordo di unità della Marina militare italiana. Gran parte si erano svolte a ridosso del cosiddetto Litorale austriaco: in sintesi da Grado, Monfalcone, Sistiana e Trieste, a Capodistria, Pirano, Parenzo. Grazie alla sua esperienza e conoscenza dettagliata di porti, porticcioli, approdi Nazario Sauro aveva assistito con il grado di tenente di vascello i comandanti di torpediniere, sommergibili e altro naviglio leggero impiegato in colpi di mano, incursioni, tentativi di sbarco per confondere il nemico. La fatale missione a bordo del sommergibile “Pullino” aveva come meta il porto di Fiume, dove avrebbero dovuto essere silurati alcuni piroscafi. Invece il battello si incagliò su uno scoglio adiacente l’isola della Galiola e fu la fine. «Tutto porta a presumere - scrive l’ammiraglio Romano Sauro - che la presenza di una forte risacca e di una foschia che copriva, in quella notte, la bassa isola della Galiola, la mancanza di qualsiasi luce a terra dovuta allo stato di guerra e un errato apprezzamento della velocità della corrente - sempre presente ed irregolare in quel tratto di mare - furono gli elementi che contribuirono a provocare l’incaglio del sommergibile sui bassi fondali dell’isolotto».

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