Spuntano gli inediti di Stelio Mattioni

Viaggio nell’archivio dello scrittore triestino, con il sogno di una Trieste città della letteratura
Di Simone Volpato

di SIMONE VOLPATO

Delle case degli scrittori mi colpisce l’architettura: quella di Stelio Mattioni è stata arredata da Romano Boico ed è un gioco di vetrate, fiotti di luce che nascondono opere di Righi, Perizi, Metallinò, la collezione Adelphi e la biblioteca (da Saba a Conrad).

Via Ettore Daurant, casa solida con giardinetto e gatto in prestito: non è un’inserzione pubblicitaria ma è la carta d’identità di uno scrittore, non marginale. Mi accoglie Maria Mattioni con tono sicuro e con la sigaretta accesa. Si è incuriosita del mio lavoro di studioso di ritrovare archivi (il caso Pittoni) e biblioteche che si pensano disperse (e se non sono disperse languiscono colpevolmente come i libri di Svevo dimenticati dal 1993 all’Università di Trieste).

Parliamo di Trieste città letteraria e nello stesso tempo constatiamo come il patrimonio letterario è oggetto di depauperamenti. Va subito sgombrato il campo da un equivoco: una città letteraria si legittima con la certezza che solo in essa il Turista (non parlo dello studioso) troverà gli originali delle poesie e dei romanzi da Stuparich a Saba, da Gambini a Mattioni.

Inondati da fumi che di norma provocano minimali arrosti (copyright Fortini) andiamo subito al sodo. «Il desiderio è di donare in comodato l’archivio, la biblioteca e gli oggetti – dal portasigarette allo smoking usato per il Campiello – e che siano anche esposti in modo permanente».

Dico subito che nessuna istituzione può garantire l’esposizione permanente ma hanno il dovere - morale? - di provare a trovare le soluzioni. Con certosina intelligenza la Mattioni ha ordinato l’archivio-scrittoio del marito pregno di manoscritti, di bozze dei romanzi editi ed inediti. Scopro la “Trilogia su Trieste (per conoscere Bobi Bazlen)” e il gustoso “Interni triestini. Note per un’antistoria di Saba”: dieci stazioni dedicate alla casa del poeta, all’altalena di Giotti, al primo amore, al cognato Enrico, al pittore Bolaffio.

Vi sono poi gli “Itinerari di Trieste” del 1960 (“Ponziana”, “La città dei colombi”, “Il boschetto”, “La venderigola”, “San Giacomo”, “Via Costalunga”). In una pianura tipografica riposano i racconti dell’immaginario con correzioni autografe, i lavori radiofonici per la Rai, le poesie, le presentazioni per cataloghi, le interviste. Siamo nel cuore dello scrittore e del rapporto tra il suo io narrante e Trieste.

E gli oggetti, dove sono? Sorniona, Maria mi tira fuori una semplice borsetta in cuoio non firmata, anonima, spenta. Di chi è? Risposta con sigaretta accesa: di Bazlen! Nella borsetta da lavoro trovo il necrologio a firma di Pittoni, Rovan, Corsi, Dolfi, Voghera del 27 luglio 1965. Vi è poi la lettera della compagna di Bobi, Ljuba Blumenthal, del 22 febbraio 1966 a Mattioni: «Ecco una cosa che Bobi voleva sempre con sé, anche viaggiando. La mando esattamente come l’ho trovata. Ho tentato di pulirla un po’, ma puzza ancora di muffa».

Mattioni risponde assicurando che la borsa non rimarrà ferma. Segue il carteggio con Bazlen; nell’aureo deserto delle pubblicazioni, le lettere per Bazlen possono rappresentare un romanzo (ed è in uscita per la Fondazione Olivetti un nuovo volume su Bazlen a firma di Valeria Riboli).

Arrivati al congedo ricevo in regalo alcuni libri e due docili minacce: la prima, di studiare i libri perché sarò interrogato; la seconda, di ordine morale, è di non deluderla. Sul primo mi devo applicare, sul secondo potrei già oggi far partire l’archivio fuori Trieste (il Centro Apice di Milano, per esempio).

Ritornando verso la mia libreria leggo la topografia letteraria che Stelio ha tratteggiato nel suo “Interni con figure”. Mi accorgo che la Trieste “città della letteratura” è già stata tutta disegnata qui: perché non attualizzarla? Senza scomodare Dublino guardiamo i progetti riportati sul sito di Napoli città della letteratura; si potrebbe trasferire il meccanismo anche a Trieste: i fondi librari della Civica (da Svevo alla Bodoniana di Salomone Parente, da Benco a Doplicher e Pittoni) e dell’Università di Trieste (da Stuparich a Slataper, da De Tuoni a Miletti fino al redivivo Svevo) dialogano con laboratori, luoghi d’autore; la stessa città può essere sezionata nei quartieri del Romanzo, dell’Umorismo (Faraguna e Carpinteri), del Noir, della Letteratura di viaggio (pensate ai libri di viaggio di Guglielmo Sartorio e ai viaggi nel museo orientale), di quella scientifica sul modello della Civiltà delle macchine (domande provocatorie e sensate: il turista del Friuli Venezia Giulia conosce che cosa si pubblica nella regione che non sia solo vino, frico e jota?)

Perché non creare, come a Torino, un negozio (in centro centro), con affitto pagato dalla Regione e da privati, dove tutti i piccoli editori espongono e vendono i loro libri? E infine: il museo della letteratura o è componente di un progetto di respiro a pieno polmoni o serve solo a mettere una medaglietta sul petto di qualche miracolato - e per l’eventuale direttore auspicherei un concorso con titoli seri e non semplice chiamata politica. Da pragmatico operaio dell’intelletto, come Ruzante, so bene che le idee marciano meglio con i “schei”: la loro mancanza non sia l’alibi per coprire mediocrità decisionali e assenze di piani; li si cerchi caparbiamente nell’imprenditoria triestina (ma anche in quella veneta o friulana) o si prenda esempio da Torino che ha acquistato all’asta un servizio di porcellana dei Taparelli d’Azeglio (www.palazzomadamatorino.it.).

Ma vanno sconfitti, e qui l’assessore comunale alla Cultura Franco Miracco deve mettere in campo una sana e spregiudicata autorevolezza, non tanto chi continua, anche tra gli intellettuali/imprenditori salottieri, a lamentarsi che non si possono fare le cose, ma chi gode del potere o impunità di far fallire le cose (e va anche divelta l’anestesia e la corruzione mentale).

Per dirla alla Cesare Pavese, la Trieste città della letteratura (con annesso museo della letteratura) sarà progetto palpitante quando saranno smascherate le cornacchie che si mettono code finte per somigliare ai pavoni; devono aver spazio discorsi di verità, anche scomode, e chi vuole le cose cominci a farle, e s’inerpichi su sentieri per capre; come fece Mattioni!

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