Spettro cassa integrazione alla Sertubi

Allarme di Fim e Uilm: «Intervenga la Regione». Per ora ricorso alle ferie arretrate e blocco della produzione fino al 17 marzo
Lasorte Trieste 07/03/13 - Piazza Unità, Lavoratori Sertubi
Lasorte Trieste 07/03/13 - Piazza Unità, Lavoratori Sertubi

Le preoccupazioni, espresse una ventina di giorni fa dai sindacati, erano purtroppo correttamente riposte: due riunioni con la dirigenza hanno confermato la fase di difficoltà - soprattutto commerciale - nella quale si trova Sertubi, la fabbrica specializzata in tubi di ghisa, gestita dal gruppo indiano Jindal.

Il management aziendale cerca in questo momento di governare la situazione critica in modo non traumatico, “manovrando” sulle ferie arretrate per 13 settimane e fermando la produzione fino al 17 marzo.

Ma il direttore generale Massimiliano Juvara è stato esplicito con gli esponenti di Fim Cisl e Uilm, le due sigle che hanno rappresentanze all’interno dello stabilimento in via von Bruck: se a maggio il quadro non evolve positivamente e il mercato non inverte la rotta, Sertubi farà ricorso alla Cassa integrazione.

Non è piaciuto a sindacati e lavoratori sentire riecheggiare l’ammortizzatore sociale in una realtà industriale che alcuni anni fa ha subìto la chiusura dell’area “a caldo” con la perdita di 130 posti su 210. La più pesante crisi industriale affrontata nel territorio triestino nell’ultimo quinquennio.

Adesso Sertubi occupa 72 addetti, equamente spartiti tra colletti bianchi e tute blu. I numeri del 2016, squadernati dalla dirigenza all’attenzione di Fim e Uilm, non sono allegri: la produzione - rispetto all’anno precedente - è scesa di oltre un terzo, da 28 mila a 17 mila tonnellate. Non solo: se nel 2015 lo stabilimento triestino ha “concluso” la lavorazione su 20 mila t di tubi, nel 2016 la fabbrica nell’ex Arsenale si è fermata a quota 12 mila.

Ma il vero problema è commerciale, come dimostra il sovrastoccaggio di tubi: il magazzino è passato da 11 mila a 14.500 tonnellate, con un appesantimento della gestione finanziaria. L’Iraq, che aveva assorbito gran parte della produzione triestina, ha rallentato i pagamenti e il ritardo delle lettere di credito -riferiscono i sindacati - si è ripercosso sul ritmo delle commesse. Una lieve ripresa del mercato italiano non ha bilanciato lo zoppicante andamento mediorientale.

Fim e Uilm, attraverso i segretari territoriali Umberto Salvaneschi e Antonio Rodà, iniziano ad alzare il tiro: «Poca produzione, molto magazzino: non vogliamo che Trieste venga ridotta a un deposito di tubi. C’è un evidente problema di strategia commerciale, motivato in buona parte dall’aver puntato solo sull’Iraq: una volta calati gli ordini di Baghdad, non è scattata una soluzione di riserva».

«Di Sertubi si erano occupate le istituzioni, soprattutto la Regione Fvg con la stessa presidente Serracchiani al tempo della questione-dazi - concludono Salvaneschi e Rodà - e adesso pensiamo sia determinante un rinnovato pressing della Regione sul gruppo Jindal per avere garanzie sul futuro della fabbrica».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Piccolo