Spese pazze, “riabilitato” anche Sasco
TRIESTE. Nemmeno Edoardo Sasco deve restituire un centesimo alla Regione. Come Gianfranco Moretton, anche l’ex capogruppo dell’Udc esce pulito dalla vicenda “rimborsopoli”, quella che ha visto parte dei consiglieri Fvg della scorsa legislatura indagati per il presunto utilizzo non istituzionale dei fondi pubblici. Per Sasco, proprio come per il collega del Pd, in assenza di prove, è arrivata la “rivincita”. La terza sezione giurisdizionale centrale d’Appello della Corte dei conti (presidente Enzo Rotolo, consiglieri Giuseppa Maneggio, Giuseppina Maio, Patrizia Ferrari e Giovanni Comite) ha infatti ribaltato la sentenza dei magistrati contabili regionali che due anni fa avevano condannato Sasco, nel suo ruolo di presidente del gruppo consiliare Udc, al pagamento di 19.600 euro per aver sostenuto spese ritenute inammissibili.
Concretamente il politico triestino, secondo la ricostruzione della Corte dei conti Fvg, si era visto sanzionare i rimborsi del gruppo risultanti da scontrini e ricevute sui quali sarebbe stata fornita «generica e non specifica giustificazione quanto ai motivi di spesa». I giudici territoriali avevano in particolare contestato «l’omessa produzione di documentazione idonea a provare il diretto collegamento tra le spese effettuate e censurate dalla Procura regionale e l’asserita finalità di rappresentanza istituzionale affermata invece da Sasco».
L’articolato appello dell’avvocato Luca Ponti ha contestato vari punti della sentenza della Corte Fvg. Roma non dà ragione su tutto, a partire dalla riconfermata giurisdizione della Corte in materia di gestione di fondi pubblici erogati ai gruppi dei Consigli regionali e con la conseguente soggezione del presidente e dei componenti di un gruppo alla responsabilità amministrativa e contabile per l’eventuale illecito utilizzo dei fondi. Tuttavia, il collegio ritiene non compiutamente dimostrata la «colpa grave» di Sasco. In particolare perché manca, con riferimento alle spese sostenute e alle diverse modalità delle condotte contestate, una ricostruzione dei fatti che accerti il danno erariale. Tanto più alla luce di una prassi ultraquindicennale, rileva la terza sezione della Corte dei conti, «da cui non risulta essersi scostato Sasco e secondo la quale era ritenuto ai fini della rendicontazione delle somme quale elemento imprescindibile la mera produzione dei giustificativi di spesa». E dunque, considerata l’assenza di un chiaro obbligo normativo all’epoca dei fatti, sarebbe stata necessaria «un’indagine sul titolo soggettivo delle responsabilità più approfondita».
Per Sasco è la fine di un periodo «vissuto con sofferenza e talvolta con amarezza, senza peraltro mai perdere fiducia nella giustizia». L’assenza di regole salva i consiglieri? «No, le regole c’erano. I miei collaboratori e io le abbiamo seguite nella convinzione appunto di avere operato nel rispetto dei limiti».
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