Spese pazze in Regione, i difensori al contrattacco

Durante le arringhe c’è chi, fra gli avvocati di ex e non ex consiglieri regionali, ha sostenuto l’assenza di rilevanza penale
Di Corrado Barbacini
Lasorte Trieste 20/07/10 - Foro Ulpiano, Tribunale
Lasorte Trieste 20/07/10 - Foro Ulpiano, Tribunale

TRIESTE. Parole, parole, parole. Un fiume inarrestabile di parole per dimostrare al giudice Giorgio Nicoli che quelle contestate non erano spese pazze. Semmai, in alcuni casi, erano bizzarre, estrose. Ma comunque legittime. Per convincerlo che quei numeri riportati sugli estratti conto o sugli scontrini sequestrati all’epoca dalla Guardia di finanza si riferiscono a pochi spiccioli. È vero ammontano in totale a oltre 300mila euro, ma è poco, molto meno in confronto al resto d’Italia. Insomma bazzecole, quisquilie pinzillacchere, per dirla come il principe Antonio De Curtis, in arte Totò.

Per questo, ieri mattina, nella seconda giornata dedicata alle arringhe dei difensori di molti ex e non ex inquilini di piazza Oberdan, c’è stato anche chi - tra gli avvocati - ha ipotizzato la cosiddetta tenuità del fatto considerata l’ipotetica esiguità del danno, poi, comunque, risarcito alle casse pubbliche. Insomma ha indicato come possibile un’estensione benevola della nuova norma che da qualche tempo manda assolti d’ufficio quelli, per esempio, che rubano due scatole di tonno al supermercato.

Ieri è toccato a Elio De Anna (Fi), Daniele Gerolin (Pd), Massimo Blasoni (ex Pdl), Sandro Della Mea (ex Pd), Piero Tononi (ex Pdl), Roberto Asquini (ex misto), Federico Razzini (ex Lega). E poi agli ex capogruppo Daniele Galasso (Pdl) e Gianfranco Moretton (ex Pd). Infine anche all’elicotterista Paolo Iuri, l’ex fidanzato di Mara Piccin. Gli unici di questi politici accusati di essersi abbuffati a spese del contribuente, presenti in aula sfidando la calura, sono stati Galasso, che ormai politico non è più e Mara Piccin. L’ex capogruppo del Carroccio non è voluta mancare alla torrida udienza anche se la sua posizione era già stata affrontata il 14 luglio.

Sono state affrontate le posizioni di dieci tra imputati e indagati, tecnicamente divisi tra quelli a processo col rito abbreviato (Blasoni, Della Mea, Galasso, Moretton, Tononi e Iuri) e quelli in attesa di rinvio a giudizio o proscioglimento (De Anna, Gerolin, Asquini e Razzini).

Per tutti - prevedibilmente - i difensori hanno chiesto rispettivamente l’assoluzione, perché il fatto non sussiste o non costituisce reato, o il non luogo a procedere. Motivi: il profilo giuridico di un consigliere regionale, anzitutto, come si è sostenuto esserci in una recente sentenza della Corte Costituzionale, non coincide con quello di contabile, di pubblico ufficiale, ovvero di soggetto imputabile per peculato. E anche perché il denaro pubblico speso dai consiglieri semplici, così è stato ancora sostenuto dalle difese, passava prima all’esame degli uffici tecnici su delega del capogruppo, cui spetta la vigilanza secondo una normativa regionale che non disciplinerebbe comunque a sufficienza i limiti delle spese di rappresentanza. Infine, hanno insistito gli avvocati, mancherebbe il “requisito” giuridico dell’accordo, insomma della complicità con gli stessi controllori, necessario per il reato di concorso.

«Non può ricorrere in questi casi il reato di peculato. Non ci sono i presupposti. Nel merito poi le spese sono state giustificate», ha sintetizzato seccamente l’avvocato Alberto Polacco (difende con il fratello Andrea e con Claudio Giacomelli l’ex consigliere Pdl Piero Tononi), in una pausa delle sei e passa ore di udienza a porte chiuse. Gli ha fatto eco Luca Ponti, difensore di Galasso, Moretton e Gerolin: «Non c’è dubbio, il fatto non sussiste. Nel comportamento di consiglieri e capogruppo non c’è alcuna rilevanza penale». Riguardo i capogruppo ha aggiunto: «Non hanno violato alcun obbligo di vigilanza. Ogni consigliere era responsabile per sè».

Parole con tutta evidenza diametralmente opposte a quelle a suo tempo illustrate dal pm Federico Frezza, il quale ieri ha lasciato l’aula un po’ prima della pausa disposta dal giudice. Nella sua requisitoria il 16 giugno scorso il pm aveva chiesto pene variabili tra un anno e otto mesi e due anni e tre mesi. La differenza è data dal momento dell’entrata in vigore della legge Severino. A chi ha commesso il reato dopo l’entrata in vigore della norma, va la pena più pesante. A quelli che hanno speso i soldi prima va irrogata una pena più mite. In aula, presenti anche tra gli altri gli avvocati Carlotta Campeis, Caterina Belletti, Andrea Polacco e Riccardo Seibold.

Il giorno fissato per il giudizio è il 10 novembre.

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