Spese folli in Regione, sentenza rebus della Consulta

TRIESTE. Una sentenza della Corte Costituzionale riaccende il dibattito sulle spese “allegre” in Consiglio regionale. La Consulta ha emesso il proprio verdetto sul ricorso presentato da più parti (Regione Friuli Venezia Giulia compresa, quando ancora c’era la giunta Tondo) sul decreto Monti relativo ai tagli sui costi della politica. Una parte di quel decreto, impugnata dalla Regione, si occupava anche dei bilanci dei gruppi nei Consigli regionali, prevedendo un rendiconto annuale da trasmettere alla Corte dei Conti per una pronuncia sulla regolarità. Nel dichiarare “non fondato” il ricorso su questo punto, la Corte Costituzionale chiarisce anche alcuni aspetti che si inseriscono perfettamente nella questione rimborsi.
Da una parte viene affermata la diversità tra Consiglio regionale e Parlamento: «Non è possibile considerare estesa ai Consigli regionali la deroga, rispetto alla generale sottoposizione alla giurisdizione contabile, che si è ritenuto operare, per ragioni storiche e di salvaguardia della piena autonomia costituzionale degli organi supremi, nei confronti delle Camere parlamentari, della Presidenza della Repubblica e della Corte costituzionale». Dall’altra si sottolinea come «il sindacato della Corte dei Conti deve ritenersi documentale, non potendo addentrarsi nel merito delle scelte discrezionali rimesse all’autonomia politica dei gruppi, nei limiti del mandato istituzionale». Ed è proprio su questa affermazione che accusa e difesa nell’inchiesta sui rimborsi in Consiglio regionale tornano a scontrarsi, valutando in maniera opposta l’affermazione della Corte Costituzionale.
L’avvocato Luca Ponti, difensore di molti consiglieri regionali citati in giudizio dalla Procura regionale della Corte dei Conti, vede nelle parole della Consulta un punto a proprio favore: «Valuto molto buone le valutazioni contenute nella sentenza - sostiene -. Si afferma quanto diciamo da tempo, ovvero che l’analisi del giudice contabile deve essere di tipo documentale e non scendere nel merito delle spese sostenute. A mio avviso invece le valutazioni della Corte dei Conti sono scese proprio sull’attività politica dei consiglieri citati in giudizio». Secondo l’avvocato l’indagine della magistratura contabile e le sentenze già emesse rappresentano «un eccesso del potere giudiziario sul potere legislativo». Ponti annuncia già che «valorizzeremo il contenuto della sentenza della Corte Costituzionale in tutte le sedi», vale a dire che le valutazioni inserite nella sentenza saranno utilizzate nei ricorsi dei consiglieri che sono già stati condannati dalla Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti e nella difesa di quelli che invece devono ancora vedere celebrata la propria udienza.
Dal canto suo il Procuratore regionale della Corte dei Conti, Maurizio Zappatori, sostiene invece che «nulla cambia» rispetto all’inchiesta sui rimborsi. «Il giudice contabile, così come quello amministrativo, non scende mai nelle scelte discrezionali» afferma Zappatori, secondo cui la sentenza della Corte Costituzionale non fa altro che riaffermare i principi che stanno alla base dell’attività della Corte dei Conti. «La valutazione in questo caso riguarda soltanto la congruità delle spese di rappresentanza rispetto alle finalità previste dalla legge, senza in alcun modo entrare nel merito delle scelte discrezionali. Nel momento in cui vengono ravvisate spese irrazionali o illogiche, allora entra in scena la magistratura contabile». L’esame documentale richiamato dalla Corte Costituzionale, secondo Zappatori, è stato il filo conduttore anche dell’inchiesta sui rimborsi: «Sono state semplicemente richieste le ricevute e le dichiarazioni di quelli che erano i soggetti per i quali venivano effettuate le spese di rappresentanza - spiega Zappatori -. La Corte dei Conti si muove nel momento in cui questa documentazione è assente o fa emergere spese non coerenti con la finalità della legge».
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