Spazi, orari e lezioni: ecco le regole della "nuova" scuola

Con un miliardo in più per rimettere in sesto gli istituti e assumere insegnanti soprattutto nelle scuole materne ed elementari. Senza più lasciare ai soli presidi la gatta da pelare su come mettere in atto il piano per la ripresa dell’insegnamento, ma supportandoli con Conferenze dei servizi a livello locale e Tavoli regionali “operativi”. Con la campanella della prima ora destinata a suonare più volte per consentire l’ingresso a scaglioni. Ma soprattutto con studenti finalmente in classe. Anzi, in giro a far lezione un po’ in aula, un po' nel laboratorio scolastico o magari al cinema, a teatro o in un museo.

La nuova scuola modulare dell’era post-Covid ricomincia così il 14 settembre, dopo l’accordo sulle linee guida sottoscritto da governo, regioni ed enti locali dopo un lungo tira e molla. Perché governatori, sindaci e province non solo chiedevano più soldi, ma anche chiarezza su chi fa cosa. Per esempio il testo finale relega a un ruolo più marginale privato e volontari del terzo settore, che mai e poi mai dovranno sostituirsi agli insegnanti.
Fermo restando che il piano approvato resta una traccia sulla quale si dovrà ancora lavorare. Ad esempio per risolvere il problema del trasporto pubblico, per il quale il testo rimanda a un tavolo urgente con il ministero competente, perché se bisogna scaglionare orari di ingresso ci vorrà pure qualcuno che i ragazzi ce li porti a scuola.
«L’intesa è un primo importante passo avanti, ora dobbiamo lavorare con le parti sociali», afferma il ministro della salute, Roberto Speranza. Che giudica «essenziale investire nuove ingenti risorse». Senza le quali la riapertura delle scuole rischia di diventare benzina gettata sui focolai ancora non spenti dell’epidemia.
I ragazzi a scuola dovranno mantenere il fatidico metro di distanziamento, anche se da «bocca a bocca» e non più da banco a banco, come all’inizio indicato dagli esperti del Comitato scientifico, che però indicazione su quanti alunni al massimo possano stare in una classe non ne dà. Ma forti di un loro software nuovo di zecca contenente tutti i dati possibili sulla composizione delle nostre scuole, i tecnici del ministero dell’istruzione hanno fatto un po’ di conti. Mediamente un’aula è di 48 metri quadri. Garantendo il fatidico metro, anche quando ci si sposta, vuol dire che ciascuna non potrà contenere più di 18 alunni. Il che significa che 241.466 classi dovranno trovare soluzioni logistiche alternative perché il piano è chiaro: i ragazzi non si dividono.
Allora la soluzione è duplice. Dove possibile si lavorerà in questi due mesi per ricavare nuovi più ampi spazi con opere di «edilizia leggera». Magari tirando su pareti mobili per ricavare qualche maxi aula dagli spazi di palestre e aule magne. Oppure si farà pieno ricorso alla didattica modulare, con una parte degli alunni in aula e l’altra a portare avanti un progetto di studio altrove. In un laboratorio. O fuori istituto, in un teatro come a una mostra.
Ragazzi e ragazze, scordatevi le 5 ore fermi dietro il banco. La scuola a settembre si torna a fare “in presenza”, ma mobile, come da anni si fa in tanti istituti sperimentali. Anche perché altrimenti sarebbe impossibile garantire il metro di distanza nelle classi pollaio, soprattutto alle superiori delle grandi città. Il piano, in puro burocratese, parla di «riconfigurazione del gruppo classe in più gruppi di apprendimento». Cosa significhi ce lo spiegano con un esempio gli uomini dello staff della ministra Azzolina.
«La 5°A fa un progetto sulla rivoluzione francese. Dieci ragazzi vanno nel laboratorio di informatica e fanno una ricerca documentale sulle leggi più importanti del periodo, mentre altri dieci vanno con l’insegnante di storia a studiare i discorsi dei grandi leader rivoluzionari. Nel contempo un altro gruppo, magari coi ragazzi di un’altra sezione, in un museo apprende come gli artisti rappresentavano le tensioni sociali dell’epoca. E poi tutti insieme in aula magna ricompongono il progetto multidisciplinare». Bello a dirsi meno facile a farsi. Tant’è che governatori, sindaci e province hanno chiesto e ottenuto che a dar manforte ai presidi ci siano Tavoli regionali e Conferenze dei servizi con gli enti locali.
«I bambini di età inferiore ai sei anni hanno bisogno di muoversi, esplorare, toccare», mettono in chiaro le linee guida sottoscritte ieri. Scordatevi quindi il metro di distanziamento come pure le mascherine, che nemmeno il severo comitato tecnico-scientifico ha mai osato proporre. Ma come riuscire a far sì che i bisogni dei bambini non si tramutino in un volano dei contagi?
La soluzione adottata è presa in prestito dai centri estivi, che qua e là hanno già riaperto lungo lo Stivale. Prima di tutto niente aule con 20 o più piccoli, ma gruppetti fissi in corso d’anno, seguiti da educatori, insegnanti e collaboratori, anche loro destinati a non roteare mai. Perché se con i più piccoli è impossibile avvicinarsi al rischio zero di contagio allora meglio prevenire, evitando che una singola infezione si propaghi poi in modo esponenziale. Ogni gruppetto, che si immagina di 5 o 6 bimbi, avrà uno spazio interno a uso esclusivo, con rispettivi arredi e giochi, mai portati da casa e sempre sanificati. Nello stesso spazio o nel refettorio si potranno consumare i pasti. Gli operatori dovranno proteggersi ma senza far venir meno la possibilità d’essere riconosciuti. Quindi via le mascherine e avanti con le visiere trasparenti.
Se l’epidemia non farà le bizze a settembre dietro i banchi si starà senza mascherina. Le linee guida sulla riapertura delle scuole prevedono infatti che il Comitato scientifico (Cts) «almeno due settimane prima dell’inizio dell’anno scolastico, aggiorni, in considerazione del mutato quadro epidemiologico, le proprie indicazioni in merito all’utilizzo degli strumenti di protezione». Ma con le regioni c’è già un tacito accordo: se la situazione non peggiora i ragazzi ne faranno a meno, mentre già ora ne sono esentati i piccoli di età inferiore ai sei anni. Resta la regola aurea di sicurezza del metro di distanziamento, ma da bocca a bocca anziché da banco a banco, anche se il documento del Cts allegato al piano scuola specifica che la distanza va mantenuta anche in fase di movimento. Ossia anche quando passo tra i banchi o davanti alla cattedra.
L’ultimo documento del Cts datato 28 giugno parla poi di «eventuale attivazione in ambito nazionale di programmi di screening in ambito scolastico». Test sierologici insomma. Che scienziati come Crisanti hanno già bocciato come inutili nelle scuole e che la maggior parte delle regioni considera un ostacolo in più alla riapertura del quale poter fare a meno.
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