Sparite tombe e scheletri “della vigna sotto la chiesa”

Febbraio 1927. Antonio Persolja, guardiano del Cotonificio di Piedimonte, cura nel tempo libero un piccolo appezzamento di terreno a due passi dall'Isonzo, protetto dalla severità del monte Calvario e dalle forme regolari della chiesa della piccola frazione di Podgora. Scongiurato il pericolo di nuove gelate, Persolja decide di allargare la propria vigna, impiantando nuove viti. La pala si muove sicura, rimuove quasi un metro di terra, nella quale le piante metteranno radici e cresceranno. All'improvviso, Antonio si ferma: l'ennesimo colpo di pala ha prodotto un suono acuto, di infrazione. Chiama il fratello Vojko, che a pochi metri di distanza si adopera per preparare i pali di sostegno, timoni degli ordinati filari: assieme, sempre più sorpresi, continuano a scavare. E, alla luce del timido sole di una giornata di febbraio, affiorano dalla terra ancora umida manufatti in terracotta troppo rifiniti per essere tegole o mattoni sepolti da qualche artigiano. Sono tombe. E ce n'è più d'una. Soltanto una delle piastre in cotto appare intatta: cela uno scheletro umano, con un'arma simile a una lancia e un arco appoggiato su un fianco. Antonio e Vojko, sorpresi e spaventati, corrono in chiesa ad allertare don Stanko Stanic, allora parroco di Piedimonte. Assieme, chiamano i Carabinieri che accompagnati da alcuni tecnici, effettuano i rilievi di rito: i reperti vengono impacchettati e portati via. «Non siamo mai riusciti a capire dove siano stati collocati», allarga le braccia Remigio Blasig, da decenni battagliero componente del consiglio circoscrizionale di Piedimonte. Remigio è marito di Anna, a sua volta nipote di Antonio Persolja: il nonno le ha raccontato centinaia di volte la storia di quel misterioso ritrovamento. A Piedimonte le versioni sono discordanti: c'è chi afferma di aver sentito parlare delle sepolture «della vigna sotto la chiesa» e chi invece non cela il proprio scetticismo. «Il ritrovamento avvenne in piena dittatura fascista – riprende Blasig -. Se si fosse trattato di preesistenze romane, certamente a quest'ora al posto delle vigne e dei peschi Piedimonte si troverebbe un museo». Una linea che sposa anche il consigliere comunale Daniele Orzan, che ci ha segnalato la vicenda: «Probabilmente non c'era l'interesse o la convenienza politica di valorizzare quei ritrovamenti, che verosimilmente appartenevano alle antiche popolazioni venete – analizza -. A Gorizia troppe volte è mancata quella capacità di valorizzazione la propria storia e il proprio territorio. Una realtà ricchissima. Dietro alla storia convenzionale e diffusa, si nasconde una ricchezza di piccole e grandi storie, aneddoti, che noi da goriziani spesso diamo per scontati». Intanto, resta il mistero per una vicenda che fluttua incerta tra storia e leggenda: «Ne ho sentito parlare anche io, ma non ho avuto occasione per approfondire», spiega con placida cortesia don Josip Caha, da due anni alla guida della parrocchia di Piedimonte. «La voce gira, è vero. Ma proprio a venti metri dal luogo del presunto ritrovamento abita una persona che ha superato le cento primavere: e non ricorda nulla di simile», racconta Luciano Pelizzo, proprietario dell'appezzamento di terreno un tempo appartenuto a Persolja.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo