La sottosegretaria all’Istruzione a Monfalcone: «Niqab, ci pensi l’Ufficio scolastico»

Per Frassinetti, in attesa di una legge che colmi il vuoto, devono agire gli organismi regionali

Tiziana Carpinelli
Frassinetti, Tubetti e Fasan nella sede di Fratelli d’Italia Foto Katia Bonaventura
Frassinetti, Tubetti e Fasan nella sede di Fratelli d’Italia Foto Katia Bonaventura

«Il Ministero non vuole forzature». Cinque semplici parole che introducono un possibile stallo, nel vacuum normativo, per chi oggi gestisce i delicati casi di niqāb in classe. E si occupa di contemperare il contrasto alla dispersione scolastica al diritto all’istruzione e a professare il proprio credo religioso. Questo fintantoché il Parlamento, attraverso lo strumento più congeniale, non legifererà.

Ci vorranno mesi per una legge

Potrebbero volerci «sei mesi», ha ventilato sempre la sottosegretaria all’Istruzione Paola Frassinetti, ieri special guest nella sede di Fratelli d’Italia, accolta dalla senatrice Francesca Tubetti e dal candidato sindaco del centrodestra Luca Fasan, alla prima apparizione elettorale in casa partitica diversa dalla sua, la Lega. Assente Antonio Garritani. E dunque se ne riparla il prossimo anno, a settembre.

No a decreti d’urgenza

Di usare la decretazione d’urgenza, a fronte dello sparuto numero su scala nazionale di situazioni analoghe, non se ne parla, ha fatto intendere la senatrice di Fogliano. Intanto, però, le scuole «hanno una propria autonomia», giusto per chiarire come mai a tre chilometri di distanza istituti superiori di secondo grado assumano linee opposte sul medesimo punto: la riconoscibilità dell’alunno. Al Pertini, cinque minuti prima del rintocco della campanella, una referente in luogo appartato solleva il velo per sincerarsi dell’identità della studentessa iscritta al plesso. All’Einaudi Marconi di Staranzano il regolamento, modificato nel 2024, prevede invece che il volto sia ravvisabile tout court, un po’ come alle poste o in ospedale.

Ogni scuola per conto suo

E se c’è una via d’uscita, al fatto che ogni scuola vada per conto suo, appunto «in autonomia», nel frangente di vuoto normativo (come ricordato da Frassinetti, una legge è «auspicabile perché quella di riferimento è del 1975», anzi Giuseppe Valditara la caldeggia) va individuata «negli organi scolastici regionali». Anche se proprio la dirigente Daniela Beltrame è stata la prima, a quanto pare in tutt’Italia, a sollevare il punto, proprio per chiedere un’interpretazione ministeriale ed evitare disparità di trattamento tra regioni.

Il tema dell’inclusione

La palla torna pertanto all’Usr, stando alla sottosegretaria, in attesa di una norma. Frassinetti ha condiviso il messaggio della garante per l’infanzia Marina Terragni sul fatto che la scuola sia «luogo di inclusione e integrazione»: «Siamo consci che esiste una complessità e che non può esser affrontata in modo manicheo. Né si può caricare la scuola di responsabilità che non le competono. Qui c’è un vuoto normativo e ci vuole una legge che riveda la normativa vigente. Sono state presentate in Parlamento proposte, vedremo cosa sarà deciso». Oltretutto «ho sentito alcune dichiarazioni di partiti dell’opposizione che non mi sembravano tanto contrarie: la legge si può fare anche in sei mesi, dipende dai lavori parlamentari e se c’è la volontà politica».

Coinvolte 4 persone

Certo, la questione «è importante, ma la quantificazione delle problematiche ha un suo rilievo: siamo consci che al momento la vicenda coinvolge quattro persone». Fermo restando che «non si può lasciare la responsabilità delle decisioni ai singoli presidi» perché «la scuola non può risolvere da sola un problema così complesso». Ma vanno armonizzate questioni di diritto allo studio e sicurezza. «Come ha detto la garante – ancora Frassinetti – la scuola dev’essere luogo di apertura ed emancipazione, non di segregazione. Sede di crescita armoniosa di una comunità educante che avanza in un percorso: farlo senza guardarsi in volto è problematico, sicuramente».

Il tema della sicurezza

Tubetti ha rilevato la necessità di considerare pure le esigenze di «tutti gli altri studenti» e «il loro diritto a sapere con chi stanno parlando: se una persona è incappucciata o velata viene meno la sicurezza». «Anche perché – ha aggiunto Fasan – noi sappiamo che il niqāb di queste ragazze non rappresenta una libera scelta: ce l’hanno detto le donne islamiche. Non sono scelte personali, ma imposte dalla famiglia. E quando non sono impartite, si tratta di plagi mentali fin da tenera età». «Abbiamo avuto – ha concluso – il caso di bambine di otto anni col velo per “libera” scelta, ma è impossibile che a quell’età si possa decidere in autonomia. Il lavoro delle dirigenti scolastiche, qui, è di trincea: cercano di porre rimedio a situazioni di questo tipo». 

 

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