Sotto choc per la rapina, chiude la gioielleria
«Fuori tutto per rapina». La gioielleria Ferluga, storico negozio triestino (aperto nel 1935) e con sede in via dell’Istria 14 poco lontano da Campo San Giacomo, chiude. Il motivo è esplicitato sulle vetrine: le scritte adesive non ammettono alcun tipo di equivoco. Tutta la merce viene venduta a prezzi ridottissimi, con sconti che vanno dal 30% al 50%. L’intenzione della proprietà è quella di concludere l’operazione di liquidazione nel giro di una decina di giorni e di abbassare le serrande definitivamente «al massimo entro la fine del mese», spiega la titolare Cristina Bari, il cui nonno aveva avviato l’attività 78 anni or sono.
La decisione è stata presa dopo la rapina con aggressione alla titolare, subita il 13 dicembre scorso. Due rapinatori, dopo essere riusciti a introdursi nella gioielleria (il primo malvivente aveva suonato il campanello di sicurezza ed era entrato con la scusa di farsi mostrare alcuni articoli in vendita, poi il complice l’aveva raggiunto), avevano immobilizzato la donna, colpendola ripetutamente con un taser, arma che provoca spasmi e dolore alla vittima attraverso delle scosse elettriche, e l’avevano anche legata a una sedia. I criminali avevano a quel punto svuotato la cassa, portando via l’incasso di giornata, e rubato inoltre diversi preziosi, per fuggire infine a piedi. La titolare dell’oreficeria era riuscita successivamente a liberarsi e ad andare a chiedere aiuto nel vicino esercizio commerciale. Sul posto erano intervenuti poco dopo i carabinieri, che avevano immediatamente avviato le indagini per risalire ai colpevoli.
Lo choc per l’accaduto è stato tale da portare la proprietà della gioielleria Ferluga a prendere una decisione che probabilmente, fino a quel terribile pomeriggio, mai avrebbe nemmeno lontanamente pensato di poter ipotizzare. «Non mi spiego un’aggressione così violenta - ritorna a quel 13 dicembre Cristina Bari -. Non avevo mai avuto così tanta paura prima. Un fulmine a ciel sereno». Che ha lasciato un segno indelebile. «La vita vale più di qualsiasi altra cosa. A questo punto - aggiunge la negoziante - meglio il chiosco ai Caraibi che rischiare la vita per lavorare qui». Parole dense di amarezza.
«Se questo è il nostro Paese - prosegue -, e peraltro il fatto è successo a Trieste che è sempre stata considerata un’isola felice, allora bisogna aprire gli occhi. Dobbiamo prendere coscienza che le cose sono cambiate anche qui. Preferisco la vita, magari con meno comodità materiali. Probabilmente - è lo sfogo di Cristina Bari - me ne andrò proprio via da Trieste».
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