Sospetto jihadista nella comunità turca di Trieste
Forse solo qualche esaltato. “Mele marce”, come si dice. Ma tanto basta ad associare chiaramente Trieste, con indagini e documenti, al rischio di intrecci con il terrorismo internazionale. Il dossier della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, fresco di pubblicazione, lo afferma con precisione: in città, e in particolare all’interno della comunità turca presente nel territorio, potrebbe nascondersi qualche soggetto pericolosamente legato alla galassia della jihad islamica.
Nel mirino degli investigatori, spiega con chiarezza la Relazione della Dna, sono finiti negli ultimi mesi alcuni giovani provenienti appunto dal Paese della mezzaluna. Giovani che, questo appunto è il sospetto, starebbero guardando con interesse ai teatri di guerra siriani, con l’intenzione di «unirsi alle formazioni jihadiste dello Stato Islamico e di Al Nusra».
Gli accertamenti, ancora in corso, stanno cercando di verificare eventuali partenze avvenute di recente verso quelle zone. Ma le forze dell’ordine, scrive la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, hanno già raccolto elementi certi. È stato infatti individuato un cittadino turco di 23 anni, che «asseritamente - si legge nella documentazione della Dna - avrebbe emulato le gesta di un parente combattente dell’autoproclamato Stato Islamico».
Una pista che potrebbe portare ad altri risvolti. In effetti, aggiunge il report, «le informazioni hanno testimoniato la vicinanza del soggetto monitorato al circuito dei giovani turchi che potrebbero essere partiti dalla zona di Bingol, in Turchia, per unirsi alle formazioni jihadiste». Non solo. «La sfera delle relazioni - continua il testo - ha posto le basi per effettuare ulteriori approfondimenti».
Il portavoce del centro culturale “Said Nursi”, Veysi Aydemir, punto di riferimento della comunità turca a Trieste, riferisce di non sapere nulla dell’indagine. «Non sono a conoscenza – spiega – comunque chi viene qua non ha mai dato problemi». Il campanello d’allarme tuttavia, a detta degli esperti, c’è e non va ignorato.
I segnali ci sono e non si limitano al ristretto cerchio cittadino.
Pochi chilometri oltre, a Ronchi, sono stati scoperti di recente cinque macedoni che inneggiavano all’Isis. L’indagine, coordinata dal procuratore di Trieste Carlo Mastelloni insieme alla Digos del capoluogo e di Gorizia, a ottobre aveva portato all’espulsione degli indagati.
L’inchiesta si era focalizzata su un account Facebook pieno di video a sostegno dei terroristi. Il gruppo, viene precisato ora, era in stretta connessione con gli appartenenti all’organizzazione macedone di matrice terroristica “Aktivna Islamska Mladina Oktisi” (“Gioventù islamica attiva di Oktisi”). Tra i diversi comportamenti contestati, oltre alla pubblicazione di foto e filmati di propaganda, sono state appurati i legami o, meglio, le “amicizie”, con soggetti attualmente inseriti tra le fila dei combattenti dello Stato Islamico e già collocati della lista dei Foreign Fighters partiti dall’Italia. Nell’inchiesta sono spuntati contatti telefonici con personaggi poi risultati oggetto di altre indagini analoghe per reati di “associazione con finalità di terrorismo internazionale”. Anche questi espulsi dal territorio nazionale.
È la peculiare posizione geopolitica del Friuli Venezia Giulia, tanto più quella confinaria della provincia di Trieste, ad aver acceso i riflettori degli investigatori. Che ora parlano della regione come un territorio che ha assunto «un ruolo di assoluta preminenza nel panorama dei traffici criminali», scrive la Dna. Droga e armi, come ben noto, ma pure esseri umani.
Traffici favoriti, evidentemente, dal «tumultuoso contesto del fenomeno migratorio che, nei momenti di maggior pressione sulla rotta balcanica, investe anche il Fvg». Il report cita anche le operazioni contro il business dei clandestini, con gli arresti dello agosto in Lombardia, Veneto, Slovenia e Ungheria messi a segno dai carabinieri del Ros e disposti dal Gip di Trieste su richiesta della Dda. Nell’operazione, si è saputo, cinque pachistani erano entrati in Italia attraverso il confine di Monrupino, stipati nei furgoni. In altre indagini, di cui si sa ancora poco, emergono infine “interessanti elementi”, avverte la Dna, nei confronti delle attività di reclutamento di mercenari da inviare nel conflitto ucraino.
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