Sofia accusa la filosofa: era una spia dei comunisti

Julia Kristeva sarebbe stata “arruolata” con il nome in codice “Sabina” nel 1971 Informazioni contenute nei dossier del regime resi pubblici nel 2007

SOFIA L’accusa è pesantissima: essere stata una spia al soldo dell’ex regime comunista. A formularla nei confronti della celebre filosofa e psicoanalista bulgara Julija Kristeva considerata una dei più influenti pensatori del ventesimo secolo è stata la commissione statale incaricata ad esaminare tutta la documentazione dei servizi segreti che operavano ai tempi dell’ortodossia comunista nel Paese. Julia Kristeva ha collaborato con i più grandi intellettuali francesi contemporanei quali Jacques Derrida, Jacques Lacan e Roland Barthes. Tra i numerosi riconoscimenti che ha ricevuto nel corso della sua luminosa carriera ricordiamo il premio Vaclav Havel, il premio Hannah Arendt e la Legion d’onore francese conferitale dall’allora presidente Francoise Holland.

Kristeva è nata nel 1941 a Sliven in Bulgaria da una famiglia cristiano-ortodossa. Nel documentario “Chi ha paura" di Julija Kristeva del 2017 si descrive come nel 1965 sia giunta a Parigi per studiare letteratura con l’aiuto di una borsa di studio statale francese. In tasca aveva solo alcuni spiccioli equivalenti agli attuali cinque dollari.

Secondo i documenti, resi pubblici sul web dalla stessa commissione statale indagatrice, Kristeva sarebbe stata reclutata dalla sicurezza nazionale bulgara nel 1971 quando era molto conosciuta nell’ambiente culturale francese e lei era in contatto praticamente con l’élite intellettuale di Parigi. Il suo nome in codice era quello di “Sabina”. Scriveva moltissimo ed era anche molto attiva nella cerchia che pubblicava il giornale d’avanguardia “Tel Quel” tra i quali troviamo i nomi del critico Roland Barthes, dello scrittore Philippe Sollers e il filosofo Jacques Derrida. Già dalla caduta del “moloch” comunista nel 1989, Kristeva si è proposta come una dei più forti critici del defunto regime in Bulgaria. Tra l’altro lei è convinta che suo padre proprio nel 1989 è stato ucciso nell’ospedale dove era ricoverato e dove si effettuavano esperimenti, senza alcuna autorizzazione da parte della “cavia”, proprio sugli anziani.

Nei documenti dei servizi di sicurezza bulgari si trova la sua carta di registrazione emessa dall’allora Comitato per la sicurezza nazionale, si possono leggere numerose trascrizioni di suoi dialoghi avuti con gli 007 bulgari nei caffè parigini, ma non c’è alcun documento scritto dalla fantomatica “Sabina” né da essa sottoscritto. Comunque nel 1973 secondo le spie bulgare in Francia le sue informazioni sarebbero state assolutamente non utilizzabili e per questo smisero di contattarla.

Kristeva ha duramente respinto qualsiasi accusa di aver lavorato come spia per il passato regime bulgaro sulle colonne del New York Times dove ha definito le notizie provenienti da Sofia come «fake news» e dove ha chiaramente affermato di non aver mai avuto alcun contatto con agenti segreti, né di essere stata da questi reclutata come collaboratrice. A schierarsi decisamente dalla parte della filosofa bulgara è la professoressa francese di letteratura ad Harvard, Alice Jardine che sta lavorando proprio alla biografia di Julija Kristeva. Secondo Jardene il dossier dei servizi di sicurezza del regime comunista bulgaro non dimostra affatto che la filosofa avesse fatto opera di spionaggio, spiega però come la stessa fosse stata il bersaglio e l’oggetto di osservazione.

In Bulgaria in molti sono convinti che Kristeva abbia parlato con agenti del regime comunista ma lei non sapeva assolutamente che alcuni dei suoi interlocutori fossero degli 007 con la falce e il martello.

E da qui il dibattito a Sofia, peraltro molto acceso dopo il “dossier Kristeva”, si allarga su una domanda fondamentale di fronte alla valanga di documenti del passato regime dal 2007 di pubblico dominio: chi è, o meglio, che cos’è veramente una spia?

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