Slovenia, residenti in aumento: superati i 2,1 milioni di abitanti

Paese in controtendenza rispetto a tutto il resto dell’area a Est, ma solo grazie agli immigrati
A bordo di un veicolo del trasporto pubblico in Slovenia
A bordo di un veicolo del trasporto pubblico in Slovenia

LUBIANA. I numeri assoluti sono minuscoli, come d’altronde è naturale quando si parla di un Paese piccolo. Ma sono cifre comunque significative, perché disegnano un trend molto differente da quello, assai preoccupante, che interessa gran parte dei Balcani e dell’Europa centro-orientale. Trend di crescita della popolazione che riguarda la vicina Slovenia, che per la prima volta nella sua storia ha superato l’estate scorsa quota 2,1 milioni di abitanti.

La stima è stata elaborata dall’ufficio statistico di Lubiana, il Surs, che ha calcolato in 2.100.126 i residenti in Slovenia al primo luglio scorso, +4.300 rispetto a gennaio del 2020, cifre che confermano una tendenza lenta, ma costante di aumento della popolazione complessiva che si sta registrando negli ultimi anni, con un picco di +15.000 abitanti nel 2019, l’anno pre-pandemia. Tendenza il cui merito va anche e soprattutto, almeno nell’ultimo periodo, all’immigrazione. Senza gli stranieri, infatti, la Slovenia avrebbe registrato un calo degli abitanti nel 2020. E pure piuttosto marcato.

Secondo il Surs, tra gennaio e luglio si è appunto osservata una diminuzione dei cittadini sloveni residenti (-1.900), ma il “buco” è stato colmato dal «numero di stranieri, cresciuto di 6.200 unità (+4%)», ha precisato l’omologo locale dell’Istat, tratteggiando una Slovenia sempre più multiculturale, con un 7,7% della popolazione di origine straniera. Quadro che era stato anticipato già a settembre dal premier Janez Jansa, che ha confermato che a partire dal 2016, «la popolazione aumenta a causa dell’immigrazione» e non per un accrescimento della natalità, uno degli obiettivi di Lubiana.

Che seguendo il modello magiaro punta ora su «edilizia convenzionata per le giovani famiglie» e assistenza finanziaria per promuovere la natalità, piuttosto che sull’immigrazione, soluzione «solo se ben gestita», aveva messo le mani avanti il premier sloveno. Ma l’immigrazione in Slovenia appare più gestibile che in altri Paesi europei, dato che quasi il 90% dei nuovi ingressi dall’estero arriva da nazioni dell’ex Jugoslavia, in gran parte bosniaci, ha calcolato di recente il portale Birn.

Problemi, quelli di gestione dell’immigrazione, che non riguardano invece il resto dei Balcani e buona parte dell’Europa dell’Est, bacino che esporta forza lavoro e cervelli verso l’Europa più ricca e anche verso la Slovenia, “isola” che cresce in termini di abitanti in un mare di segni meno, un’eccezione o quasi a Est, con solo Polonia, Cechia e Slovacchia che vantano un leggero aumento degli abitanti o una stasi negli ultimi decenni.

Dal 2000 a oggi, infatti, la Slovenia può contare su un 5% di abitanti in più circa, secondo stime del Vienna Institute of Demography, Wittgenstein Center e Accademia austriaca delle scienze. Nello stesso periodo, invece, l’Albania ha perso il 6% della sua popolazione, la Bosnia-Erzegovina addirittura il 12%, la Bulgaria il 15%, la Croazia – con un’accelerazione dopo l’adesione alla Ue – il 9%. Neppure l’Ungheria di Orban può dormire sonni tranquilli (-7% in due decenni), mentre possono sicuramente versare lacrime amare Kosovo (-10%), Romania (-14%), Serbia (-7%), tutte nazioni che soffrono a causa dell’emigrazione o del fenomeno delle culle vuote. O addirittura per entrambi.

Ma anche Lubiana non può gioire troppo, perché quello attuale potrebbe essere solo il canto del cigno. A meno di un flusso consistente di immigrati, con il tasso di fertilità attuale, anche la popolazione slovena conoscerà una flesione drammatica entro il 2100. Secondo uno studio pubblicato in estate su The Lancet gli sloveni potrebbero ridursi a solo 1,15 milioni entro la fine del secolo, in un Paese “svuotato” come saranno, secondo Lancet, Serbia, Bosnia, Bulgaria, Romania. E mezzo Est. 


 

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