Slovenia: l’ex premier Janša a un passo dal carcere

Esecutiva la condanna a due anni per corruzione. Il leader sloveno ricorrerà in Cassazione: «Una sentenza politica»
Di Mauro Manzin ; di Mauro Manzin

TRIESTE. Non è morbillo, nè scarlattina, non è letale ma lascia conseguenze incancellabili. È il “virus del centrodestra” che sta dilagando nell’Europa centrale e balcanica e miete le sue vittime. In galera sepolto dagli scandali l’ex premier croato Ivo Sanader, ai servizi sociali per frode fiscale con relativa interdizione dai pubblici uffici Silvio Berlusconi, e ora due anni di galera per l’ex primo ministro sloveno Janez Janša. Lui per corruzione, nell’affare relativo all’acquisto dei blindati Patria di costruzione finlandese. Due anni. E se la posizione di Sanader sembra oggettivamente compromessa, Berlusconi e da ieri anche Janša gridano alla sentenza politica, alle toghe rosse, alla magistratura ingiusta e golpista.

La sentenza nei confronti di Janša è esecutiva. Per lui si aprirebbero le porte del carcere di Capodistria. Il condizionale è d’obbligo perché il condannato ha ancora la possibilità di ricorrere in Cassazione e se ritiene che siano stati lesi i suoi diritti umani potrà far ricorso alla Corte costituzionale e a quella europea di Strasburgo. Malissimo che vada potrà, come il suo “collega” di Arcore, chiedere l’ammissione ai lavori socialmente utili. A decidere sarà chiamato però lo stesso giudice che lo ha condannato.

E ieri Janša ha convocato una conferenza stampa (vera ressa mediatica stile cancelli di Arcore) e ha alzato alto il suo dito indice accusatore. «L’Affare Patria - arringa - è inesorabilmente connesso con le elezioni. È scoppiato nel 2008 prima delle elezioni, il processo ha subito una accelerazione nel 2011 quando era oramai evidente che ci sarebbero state le elezioni anticipate e la sentenza di appello oggi quando, guarda caso, siamo di nuovo alla vigilia di elezioni anticipate». Poi l’attacco diretto ai giudici in perfetto “Silvio style”. «Al vertice della magistratura e dei tribunali ci sono persone che non meritano rispetto visto che nel precedente sistema (leggi Jugoslavia ndr.) hanno violato i diritti umani e per questo dovrebbero essere processati e non guidare invece gli organi della giustizia».

Poi l’impennata di orgoglio, di lui che nel 1989 ha conosciuto il tribunale (e il carcere) militare jugoslavo, lui che ha fatto scattare la scintilla della Primavera di Lubiana, lui in qualche modo padre della Slovenia indipendente e democratica oggi improvvisamente matrigna. «Prendo atto della sentenza- dice - non posso però rispettarla. «Chi può credere in questa gente (sempre i giudici ndr.)?», si chiede. «Forse solo meno di un quarto degli sloveni ch da quelle violazioni dei diritti umani ha avuto dei vantaggi». «Non chiederò l’affidamento ai lavori socialmente utili perché la sentenza cadrà. Adopererò tutti gli strumenti legali che ho ancora a disposizione». Poi il picco da consumato comiziante. «Quelli che credono che la Sds (partito di cui Janša è e resta presidente ndr.) sia solo Janez Janša e quindi cerca disonestamente di far sparire proprio il suo leader per annichilire tutto lo schieramento si sono sbagliati viste le numerose adesioni che abbiamo ricevuto in queste ore e con i nostri iscritti sempre più motivati a essere determinanti».

E Janša apre anche ufficialmente la campagna elettorale per le elezioni politiche anticipate. Incita la gente a «riversare tutta la propria rabbia nelle prossime elezioni, tanto la Sds è il partito più pronto e capace - arringa - a prendere in mano le redini del Paese e a guidarlo in modo diretto, non come avviene negli altri partiti dove chi governa è una marionetta manovrata da persone che rimangono dietro il palcoscenico». La stoccata a Jankovi„ è profonda. E forse fa anche male. Ce lo diranno le urne.

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