Slovenia, l’area di Bohinj nel mirino della Chiesa
LUBIANA. Denazionalizzazione, in Slovenia un discorso ancora aperto. Lo sa benissimo la Chiesa cattolica che dallo Stato pretende la restituzione di aree naturali tra le più belle e suggestive del Paese quali quelle che si trovano attorno al lago di Bohinj, la valle dei laghetti naturali del Triglav e la cascata della Savica (slap Savica). L’Unità amministrativa di Radovljica ha sempre avversato queste restituzioni e così da oltre 24 anni la situazione resta appesa tra richieste, denunce, processi.
Ma la soluzione ancora manca. I funzionari di Radovljica (cittadina a pochi chilometri da Bled), infatti, si rifiutano di restituire alla Chiesa un’area di circa 4mila metri quadrati circostante il lago di Bohinj in quanto la stessa è un bene pubblico per cui esce da quei beni che rientrano nell’ottica della denazionalizzazione. L’Arcivescovado di Lubiana non ci sta e si rivolge anche al tribunale locale visto che la zona del lago di Bohinj non è di proprietà statale, bensì del Comune. Ma su tutto “pende” la cosiddetta legge sulle acque in base alla quale le stesse (laghi e fiumi in primis) costituiscono un patrimonio pubblico inattaccabile.
Al ministero dell’Ambiente della Slovenia, come scrive anche il quotidiano lubianese Dnevnik, sostengono che esistono oggettive ragioni per cui la restituzione delle aree del lago di Bohinj, della valle dei laghetti del Triglav e della cascata Savica sia del tutto impraticabile a norma di legge.
Ne è certo anche l’avvocato del Comune di Bohinj, Marko Klofutar il quale sostiene che, anche come privato cittadino, preferisce pensare la cascata Savica come bene pubblico in modo che tutti possano usufruirne. Del resto la Chiesa dalla location potrebbe solo pretendere il biglietto d’ingresso. Biglietto che, peraltro, già oggi diventa doppio per i visitatori in quanto devono pagare tre euro per il parcheggio di proprietà della Chiesa e altri tre euro all’Associazione turistica locale per poter ammirare le bellezze naturali del posto.
Secondo l’avvocato Klofutar ancor più improponibile è la richiesta di restituzione della proprietà della valle dei laghi naturali del Triglav, che fanno parte dell’omonimo parco naturale. «Da un punto di vista geodetico - spiega il legale - gli stessi non possono essere misurati e poi lì attorno ci sono solo alcune malghe». Eppure la Chiesa non molla.
È datata 10 marzo del 2015 la sentenza del Tribunale amministrativo di Lubiana al quale si era rivolta l’Arcidiocesi di Lubiana in base alla quale l’unità amministrativa di Radovljica dovrà nuovamente decidere sulla contesa. Tutto, dunque, a tuttoggi, è anche da un punto di vista legale ancora aperto.
Il costituzionalista sloveno, Lojze Ude sostiene sulle colonne del Dnevnik di essere assolutamente contrario alla restituzione ai privati delle bellezze naturali del Paese. «Prima o poi correremmo il rischio - spiega - di trovarci di fronte a un cartello con su scritto “Proprietà privata, ingresso vietato”. Di diverso avviso, ovviamente, coloro i quali del processo di denazionalizzazione sono interessati in prima persona. Come Inka Stritar, presidente dell’associazione dei proprietari cui sono stati nazionalizzati i beni con la nascita del regime comunista gestito dalla Jugoslavia di Tito.
Il suo ragionamento si basa su pochi ma certi capisaldi normativi. «Questi beni se prima della nazionalizzazione erano di proprietà dei privati - spiega - non capisco perché non potrebbero esserlo anche oggi visto che nessuno li trasferirà altrove». La ricetta della Stritar è assolutamente semplice: «Colui il quale era iscritto come proprietario di un ben al catasto prima della nazionalizzazione deve oggi avere indietro la sua proprietà».
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