Sit-in ai carotaggi della cabinovia di Trieste: dodici manifestanti a processo
Accusati di aver interrotto i lavori con un’azione di forza. Le difese: «Stop dovuti a cause esterne»
Alla sbarra con l’accusa di aver impedito i carotaggi dell’ovovia durante un presidio di protesta. Sono dodici i manifestanti finiti sul banco degli imputati con l’accusa di violenza privata. A uno di loro viene contestato anche il reato di manifestazione pubblica non autorizzata. Il processo è iniziato mercoledì mattina davanti al giudice Francesco Antoni. Si è trattato di un’udienza predibattimentale che si è conclusa con un rinvio al 9 aprile per un difetto di notifica a uno degli imputati. La causa entrerà dunque nel vivo nei prossimi mesi. E i manifestanti confidano di dimostrare la propria estraneità ai reati contestati.
I fatti
I fatti risalgono al 29 e 30 agosto del 2023 e fanno riferimento ai campionamenti geologici in strada del Friuli in vista della tanto discussa cabinovia. All’epoca il Comune aveva incaricato una ditta di eseguire dei carotaggi preliminari sui terreni nell’area in cui dovrebbe sorgere il parcheggio sotterraneo al servizio della cabinovia. Un gruppo di residenti e partecipanti al comitato No Ovovia era sceso in strada per manifestare la propria contrarietà alla realizzazione dell’opera.
Ed è proprio sulle modalità del picchetto che le ricostruzioni divergono. Secondo la Procura, i dodici imputati avrebbero impedito attraverso un’azione di forza lo svolgimento dei carotaggi, costringendo gli addetti a interrompere il lavoro.
I manifestanti
Diametralmente opposta, invece, la versione dei manifestanti, dieci dei quali sono difesi dall’avvocata Jennifer Schiff. Gli accusati sostengono di essersi limitati a presidiare il sito del carotaggio, senza averlo intralciato in alcun modo.
Il gruppetto si sarebbe piazzato pacificamente sull’altro lato della strada, nello slargo di parcheggio che sta di fronte a una casa. Senza aver giocato alcun ruolo nell’interruzione dei campionamenti. Lo stop, a detta delle difese, va imputato semmai a cause esterne. Il primo giorno il carotaggio si sarebbe bloccato per via del maltempo: pioveva troppo per estrarre con la ruspa campioni di terreno da analizzare.
Il sabotaggio
Il secondo giorno, invece, a mettere il bastone fra le ruote sarebbe stato un sabotaggio, che ha costretto gli operai a fermare i lavori. Sabotaggio di cui nessuna delle dodici persone attualmente a processo è accusata. Una mano ignota, armata probabilmente di cesoia, aveva tagliato il tubo che collegava la carotatrice alla cisterna di rifornimento. Con due “sforbiciate” aveva messo fuori uso i macchinari: una recisione più vicino alla cisterna, l’altra invece più a ridosso del macchinario. Sul posto era intervenuta la Digos, che aveva sentito i presenti per raccogliere elementi utili a smascherare il sabotatore, ma anche ad accertare se il dissenso era stato espresso entro i confini della legge.
L’accusa
La Procura ritiene di no: da qui la contestazione di violenza privata, a cui si aggiunge in un caso anche la contestazione di manifestazione non autorizzata. Accuse che i legali degli imputati contano di smontare pezzo dopo pezzo in sede di contraddittorio. «Abbiamo scelto di andare a dibattimento proprio perché vogliamo che vengano accertati i fatti – afferma l’avvocata Schiff, che difende dieci delle dodici persone alla sbarra –. I miei assistiti non si riconoscono nella ricostruzione fornita dalla Procura». Si torna in aula il prossimo 9 aprile.
L’opera finanziata dal governo
Di ovovia si continuerà a parlare, dunque, anche sul fronte della giustizia penale. Destino vuole che il processo sia iniziato negli stessi giorni in cui il ministro Matteo Salvini ha sbloccato finanziamenti governativi per garantire la maxi opera. Il titolare del dicastero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha firmato infatti il decreto che cancella l’opera dal piano di interventi del Pnrr e – contestualmente – stanzia 48,8 milioni di euro da fondi ministeriali all’impianto di risalita tra mare e Carso. —
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