Siot, a 40 anni dall’attentato Quell’inferno tra i tank
Per giorni e giorni, prima che il 27 luglio iniziasse a tenere banco l’overdose di gare e partite, di Londra 2012 i media avevano parlato soprattutto per l’allarme attentati e per le polemiche sugli omaggi da rendere alla memoria degli atleti di Israele vittime del blitz dei terroristi palestinesi ai Giochi di Monaco di Baviera, nel settembre del ’72. Omaggi speciali perché speciale è il funesto anniversario: 40 anni. Tanti quanti ne sono passati (accadeva proprio in queste giornate estive di 40 anni fa, tra le 3.15 e le 3.30 della notte di venerdì 4 agosto) dal più grave attentato subito - per stessa mano di quella di Monaco ’72, chiamata Settembre Nero - da Trieste nella propria storia: le quattro bombe fatte esplodere su altrettante megacisterne di petrolio nel comprensorio Siot, la tank-farm di San Dorligo, dove si scatenò subito un inferno di fuoco e da dove si levarono poi colonne di fumo alte fino a tre chilometri. Le videro persino dal Friuli.
«Alle 3.15 ho sentito un formidabile scoppio e visto un lampo, ho pensato ad un fulmine», il racconto di un guardiano notturno riportato nell’articolo di prima pagina del Piccolo del 5 agosto ’72 dal giornalista Ranieri Ponis. L’obiettivo della prima carica era la cisterna 44, con dentro 80mila tonnellate di greggio. Il suo cilindro di sicurezza in acciaio resse. Non però, un quarto d’ora dopo, quelli dei tank 11, 21 e 54: oltre 200mila tonnellate di petrolio, alla fine, invasero la piana di San Dorligo, lambendo gli altri contenitori. A quel punto i tecnici della Siot iniziarono a svuotarli a tutta, pompando verso la pipeline sotto le Alpi più greggio possibile.
Non ci scappò il morto, ma una ventina furono i feriti, in particolare per ustioni, quasi tutti tra gli eroici vigili del fuoco - arrivati anche da Veneto e Lombardia - che si prodigarono a lungo per spegnere gli incendi provocati dallo scoppio delle bombe e dallo spargimento del greggio sulla piana, evitando così quella che si sarebbe potuta trasformare in un’apocalisse. Fu il primo vero batter di colpo in Europa occidentale di quella che poi sarebbe diventata una logorante paura quotidiana.
Trieste e i depositi di partenza della pipeline di petrolio diretta a Ingolstadt, in Germania, furono in effetti scelti accuratamente, se è vero che la recente letteratura sulla storia della politica internazionale del Novecento inserisce proprio la nostra città nell’allora rete delle basi italiane del Mossad. «Vogliamo infliggere violenti colpi ai nemici della rivoluzione palestinese e agli interessi imperialistici che sostengono il sionismo, questo atto è in armonia con altre azioni da intraprendere nella Germania federale e in altri Paesi d’Europa». A più di 48 ore di distanza dai boati che avevano squarciato terra e cielo di Trieste, a Damasco spuntò un dispaccio d’agenzia a metà fra la rivendicazione e l’annuncio di nuove violente iniziative. Era il 6 agosto 1972. Da lì a un mese i Fedayyìn di Settembre Nero avrebbero sconvolto il mondo intero, con il sequestro degli atleti israeliani nel Villaggio olimpico, simbolo di convivenza, durante i Giochi a cinque cerchi, a loro volta simbolo di incontro di civiltà.
E oggi, 40 anni dopo, in cui la riuscita di un’Olimpiade come quella in corso a Londra si misura in sicurezza e soldi spesi per quella, che aria tira attorno alla piana della Siot? «Resta sempre, in un panorama internazionale qual è quello attuale, una situazione degna della massima attenzione», spiega il questore Giuseppe Padulano, il capo della polizia di Trieste.
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