Sinergia o competizione: i porti del Nord Adriatico si interrogano sul futuro
TRIESTE Vicini e complementari, chiamati alla concorrenza ma pure destinati alla cooperazione, in un mondo che impone sempre più di pianificare con elasticità la gestione delle catene logistiche e di navigare nelle acque agitate delle crisi contemporanee con capacità di adattamento finora mai sperimentate.
I porti dell’Adriatico settentrionale si sono dati convegno a Trieste, alla prima edizione dell’Adriatic Sea Summit, organizzato dal Piccolo e dal Secolo XIX. I presidenti dei porti di Trieste, Venezia, Ravenna, Capodistria e Fiume si sono confrontati su temi di stringente attualità, dal contesto geopolitico ai rapporti con la Cina, passando per la riforma delle Autorità portuali, il Pnrr e i differenti regimi di gestione in Italia, Slovenia e Croazia.
A inquadrare il momento è Zeno D’Agostino, numero uno dell’Authority di Trieste e Monfalcone. Nella tavola rotonda coordinata dal giornalista Simone Gallotti, D’Agostino parte dalla constatazione che «oggi non puoi programmare più nulla: basta un evento a creare uno shock così impattante e globale che tutto viene modificato. Bisogna saper costruire sistemi reattivi e progettare piano B, C e D». E qui si affaccia il primo punto di forza dell’Adriatico, perché per D’Agostino «la ferrovia fa guadagnare stabilità davanti a fenomeni caotici: è un elemento strutturale di integrazione, come vediamo nella logistica mitteleuropea».
Trieste raddoppia la sua capacità ferroviaria e così fa Capodistria. E dalla ferrovia passa l’operazione che vede il governo interessato a fare di Trieste e Venezia i due porti europei a servizio di un’Ucraina che non può servirsi del Mar Nero. «L’iniziativa – dice il presidente veneziano Fulvio Lino Di Blasio – non ha ancora caratteristiche definite, ma ora c’è un ruolo di regia di Rete ferroviaria italiana che porterà sviluppi».
La guerra impone il ripensamento di catene logistiche finora consolidate. E se i servizi all’Ucraina sono un’opportunità, c’è pure la necessità di limitare i danni rispetto a ciò che si è perso. Il presidente di Ravenna Daniele Rossi ricorda di essere alla guida del «porto più importante per traffici col Mar Nero: 4,7 milioni di tonnellate di cui 2,3 con l’Ucraina. Abbiamo perso un milione di tonnellate e abbiamo quindi un impatto limitato, perché ai primi sentori abbiamo cominciato a rivolgerci verso Turchia, Nord e Sud America. Speriamo di tornare presto dal piano B al piano A, per ragioni commerciali e per motivi più degni».
Il conflitto ha avvicinato Russia e Cina, allontanando ancor più di quanto non fosse la prospettiva One Belt One Road. Trieste è stata protagonista della firma di uno dei memorandum più discussi, ma dagli accordi con il colosso cinese Cccc non sono sortite realizzazioni. Ora il governo discute sull’opportunità di rinnovare o meno le intese con Pechino, ma i presidenti quasi si spazientiscono per la confusione tra la Via della seta come canale commerciale e l’iniziativa One Belt con cui la Cina vuole legarsi strategicamente ai paesi firmatari.
«Sono cose diverse – sottolinea D’Agostino – e sulla Via della seta sarebbe stupido non starci, perché il corridoio fra Asia e Europa è storico ed è il più importante al mondo per volumi e valore. Rinunciare significherebbe che l’Alto Adriatico si suicida. One Belt è invece un’iniziativa politica con un ben preciso attuatore e oggi le relazioni con la Cina sono difficili. Trieste aveva un accordo che non ha portato a nulla: non devo nemmeno uscirne, poi a Roma decideranno cosa fare».
Rossi parla di «atteggiamento emotivo» perché siamo parte di un sistema economico e non possiamo sceglierne se farne parte o meno. Inoltre le Autorità portuali hanno tutta la capacità e gli strumenti per bloccare le attività di una banchina. La capacità di influenza cinese è sopravvalutata. Ci sono scelte politiche al di là della logistica e tutte le motivazioni per scegliere di tenere o meno l’economia cinese fuori dal sistema dei porti europei, ma non ci sono rischi di appropriazione dei porti».
Denis Vukorepa, direttore esecutivo della Port Authority di Fiume ricorda che «il 70% delle merci in arrivo nel nostro porto è cinese». E su possibili ingressi nelle infrastrutture: «Ci sono bandi internazionali trasparenti e che vinca il migliore». Il manager croato sta gestendo una fase di importante proiezione in avanri del proprio scalo: «Abbiamo dovuto compensare i vent’anni persi a causa della guerra e abbiamo scelto di dare il porto in concessione a grandi società di livello mondiale per ripartire. Ringrazio poi i carissimi amici che ci hanno permesso di sederci al Napa», l’associazione dei porti del Nord Adriatico.
E proprio sulla collaborazione si concentra Boštjan Napast, presidente dello scalo di Capodistria: «Dieci anni fa tutti assieme movimentavamo un milione di container. Quest’anno un milione lo fa Luka Koper da solo e tutti insieme ne facciamo tre. Le infrastrutture stradali e ferroviarie sono importantissime e questo è un potenziale, ma anche una sfida. La cooperazione già esiste e noi la sviluppiamo assieme a Trieste sulla transizione green, cercando assieme una produzione verde di energia che diventerà sempre più importante». Collaborazione e competizione, come aggiunge D’Agostino: «La concorrenza fa bene e certe dinamiche a Trieste nascono proprio dall’avere Capodistria a pochi chilometri. Quando hai un competitor vicino che lavora bene e tre sistemi nazionali diversi che concorrono, i risultati sono migliori per tutti».
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