Sinagra, "L’«io» che si fa «noi» ai tempi del virus: è la grande comunità del nostro ospedale"

Un enorme lavoro ha evidenziato quanto modulare debba essere un’organizzazione sanitaria e quanto ancora conti l’incontro coi malati 
Gianfranco Sinagra
Gianfranco Sinagra

TRIESTE Questa epidemia cambia la vita delle persone. E non solo di quelle che si ammalano e che possono averne conseguenze molto gravi. Ma anche delle famiglie, della società, dell’intera organizzazione degli ospedali e delle strutture di sanità territoriale. L’ospedale inevitabilmente ha dovuto ridefinire la priorità delle risposte, ridimensionando le prestazioni ambulatoriali e limitandole alle cosiddette “urgenti” (entro 72 ore) e “brevi” (entro 10 giorni). Sono cambiate anche le priorità sulle procedure chirurgiche e sugli interventi. La precedenza oggi va alle urgenze e ai pazienti oncologici. Si tratta di provvedimenti drastici, certo non privi di possibili conseguenze e complicanze. Ma ciò è giustificato dalla necessità di riorientamento dell’offerta ai bisogni per l’epidemia attraverso misure che limitino la presenza nelle strutture sanitarie, mobilitino risorse, riducano la diffusione, il contagio e la propagazione dell’infezione.

La Sars Cov2 è una malattia sostenuta da un mutante coronavirus altamente diffusivo, che può sopravvivere nell’ambiente fino a 9 giorni, che nel 25 per cento dei casi può dare manifestazioni cliniche gravi come le polmoniti con necessità di supporti ventilatori maggiori, raramente anche infiammazioni del cuore e nel 4-5 per cento dei casi condizioni critiche del malato con necessità di intubazione, supporti farmacologici maggiori e ventilazione meccanica. La mortalità è inferiore a un caso su cento per chi ha meno di 50 anni ed è sostanzialmente assente in età pediatrica. Ma sale all'11 per cento a 70 anni e al 20 per cento oltre gli 80. La sopravvivenza è migliore nelle donne. Cardiopatici, broncopatici, anziani sono particolarmente vulnerabili.

Lavarsi spesso le mani, curare l’igiene personale e degli ambienti, evitare adunanze, mantenere la distanza di sicurezza e una adeguata aereazione, non toccare con le mani naso, occhi e bocca costituiscono misure molto utili per ridurre la propagazione del virus. Gli ospedali, i pronto soccorso, le strutture ambulatoriali, gli studi di medicina generale andrebbero frequentati solo per condizioni e patologie gravi, acute, urgenti, indifferibili. Tutto il resto, almeno per le prossime 2-4 settimane va rinviato e ricalendarizzato a tutela dei pazienti, dei familiari e degli operatori. Bisogna restare a casa in ambienti ben aereati e igienicamente salubri.

C’è purtroppo una diffusa sottovalutazione di questi aspetti, per ignoranza e superficialità. Tuttavia l’impatto sulla società della violazione di queste indicazioni può essere devastante. La libertà è un bene fondamentale ma queste guerre si superano solo se la logica dell’io cede alla prospettiva superiore del noi, nell'interesse della comunità.

Nel nostro caso sia l'assessorato regionale alla Salute sia le strutture tecniche stanno intervenendo e trasformando l'ospedale, confinando alcune aree e creando posti letto intensivi. Un enorme lavoro, di grande energia, che contrasta con l’apparente calma surreale di alcune aree dell'ospedale e delle strutture ambulatoriali, diagnostiche e d’attesa. Tutta l’assistenza a urgenze ed emergenze, dalla medicina generale al 118, ai pronto soccorso, alle sale operatorie e alle terapie intensive, proseguono invariate: tempestive, efficienti, con grande concentrazione degli operatori. Rischi esistono soprattutto quando l’accesso diretto del malato dalla strada e la tempo-dipendenza di una malattia come l’infarto tendono a prevalere su tutto.

Ma bisogna essere attenti nel caratterizzare il malato sospetto o accertato Covid, per proteggere i team, tutelarsi e operare in ragionevole sicurezza perché il rischio di propagazione è altissimo e bisogna preservare i professionisti (pochi) dei quali le organizzazioni e società hanno assoluto bisogno. La maggiore pressione, fatica e impegno la sperimentano certamente gli infettivologi, gli pneumologi, gli intensivisti, i medici di famiglia. Ma la storia del trattamento, assistenza e gestione di questi malati la stanno scrivendo tutte le donne e uomini che - con le cure, gli interventi strutturali sugli ospedali, l’igiene degli ambienti, l’organizzazione, l’approvvigionamento dei presidi - consentono la catena complessa dell’assistenza. Questa storia certo la scrivono la politica con l’incisività degli interventi e finanziamenti e le forze dell’ordine che si espongono nell’interesse di tutti. Ma la scrive anche l'intera società che assorbe il colpo dei profondi mutamenti nella vita degli individui, delle relazioni, delle organizzazioni ed imprese.

Saremo migliori o peggiori dopo la Sars Cov2? Alcuni avranno avuto più tempo per leggere, pensare, scrivere, dialogare in un contesto ritrovato di vita e affetti familiari. Alcuni si deprimeranno. Qualcuno si chiude ma molti si aprono alla solidarietà, al dono del proprio tempo e di se stessi, all’incontro pur senza contatto, grazie alle tecnologie. Ci sarà più tempo per riflettere quanto più potente sia la natura di noi, quanto dobbiamo progredire in conoscenze e quanta illusoria sia una vita centrata sull’io, quando i comportamenti del ”noi” società mostrano di poter porre a rischio la mia esistenza o al contrario poter promuovere la sconfitta del morbo e una prospettiva di rinnovata vita.

Ho grandissima ammirazione per i collaboratori, medici e infermieri, che hanno lasciato tecnologie, ricerche avanzate, patologie cardiologiche complesse per sostenere turni di guardia in un reparto geriatrico in gran parte occupato da pazienti Covid, spesso terminali, prevalentemente grandi anziani e con molteplici comorbidità. Questa esperienza li ha messi a contatto con colleghi di area geriatrica e internistica, autentici eroi, grandi lavoratori, professionisti capaci, donne e uomini buoni e dedicati. Il “noi” dell’impegno per la comunità dei malati e dell’ospedale è passato davanti all’io delle proprie competenze specifiche, attività, benessere, famiglie, bambini talvolta molto piccoli.

A me questa esperienza insieme alla pressione, alla trepidazione per i collaboratori e per la gestione di eventi possibili ma imprevedibili, ha dato la misura di quanto plastica e modulare debba essere un'organizzazione sanitaria, di quanto importante continui a essere anche nell’era della medicina ipertecnologica l’incontro, anche solo di parole, sguardi e sorriso con il malato e le famiglie, un misto di rassicurazione e preoccupazione, prudenza e determinazione a continuare a pensare, progettare e risorgere, di realismo sulla gravità del fenomeno e rischi ma anche fiducia e speranza che come sempre nella vita e storia dell’uomo tutto passerà con conseguenze e lutti ma anche guarigioni e ritrovata vita. Passerà! —

*direttore Dipartimento

cardiotoracovascolare

Azienda sanitaria

universitaria integrata

di Trieste


 

Riproduzione riservata © Il Piccolo