Simboli dei regimi, lo stop della Croazia

Dalla stella rossa agli slogan ustascia, il governo Plenkovic mira a regolamentarne l’uso: un comitato ad hoc per le proposte
Partigiani titini sfilano davanti all'Arena di Pola il 3 maggio del 1945
Partigiani titini sfilano davanti all'Arena di Pola il 3 maggio del 1945

ZAGABRIA. Il governo croato vuole risolvere una volta per tutte la questione dei riferimenti ai totalitarismi e intende farlo tramite una legge che disciplini l'uso dei simboli legati ai regimi del passato. Parlando al consiglio dei ministri l'altro ieri, il primo ministro Andrej Plenkovic ha commentato quanto avvenuto di recente a Jasenovac, dove a poca distanza dal campo di concentramento fascista della Seconda guerra mondiale è stata affissa una targa commemorativa in cui compariva uno slogan ustascia. Al fine di poter intervenire in futuro in queste situazioni, Plenkovic ha annunciato la creazione di «un comitato che consideri la questione in un modo calmo e razionale» con l'obiettivo di «adottare una soluzione legale accettabile e che determini la posizione della società nei confronti dei simboli dei regimi totalitari».

 

L’esercito della Jugoslavia si ricostituisce su Facebook
Una delle tantissime foto postate sulla pagina Facebook denominata “Ritrova i tuoi compagni della ex Jna”

 

ZAGABRIA Si tratterebbe, insomma, di chiudere quello che è il capitolo più delicato del dibattito politico croato. Un vaso di Pandora che l'esecutivo Plenkovic intende gestire sulla base del principio di uguaglianza, ovvero considerando sullo stesso piano i simboli fascisti (come, nel caso di Jasenovac, il saluto ustascia "Per la patria, pronti!") e quelli comunisti, come la stella rossa. «Il governo croato rende onore a tutte le vittime di Jasenovac, così come ai veterani croati morti durante la guerra d'indipendenza», ha detto il premier. Da un lato gli oltre 80mila serbi, ebrei, rom e antifascisti croati morti nel campo di concentramento gestito dal regime di Ante Pavelic(1941-1945), dall'altro i combattenti caduti sul campo di battaglia durante gli anni Novanta e, a volte (come nel caso della targa di Jasenovac), vicini proprio a quell'estrema destra nostalgica di Pavelic. Ma vietare i simboli da ambo i lati metterebbe fine a ogni dibattito? Secondo la stampa croata l'iniziativa di Plenkovic rischia in realtà di creare più problemi che soluzioni. La società croata è infatti molto divisa sulla questione e, quando non parteggia per l’una parte o per l'altra, è stufa di sentir parlare di ustascia e partigiani a 70 anni dalla fine della guerra.

 

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Anche nell'Hdz, il partito conservatore guidato da Plenkovic, c'è questa consapevolezza e una fonte interna al partito ha confidato ieri al quotidiano Vecernji List che «la principale critica alla precedente leadership dell'Hdz era che si occupava troppo del passato e ora noi stiamo per riaprire un argomento che non offre risposte semplici». Il precedente governo, guidato da Tihomir Oreškovic e dall'ex leader dell'Hdz Tomislav Karamarko, aveva fatto del nazionalismo il proprio cavallo di battaglia, ma è durato appena sei mesi. Plenkovic, un eurodeputato moderato, aveva allora preso le redini del partito promettendo una retorica e un programma maggiormente incentrati sul futuro piuttosto che sul passato, ma rischia ora di dover affrontare una lunga serie di questioni, prima di poter chiudere il capitolo del simbolismo ideologico. Per eliminare il motto ustascia "Per la patria, pronti!", che fa parte del logo dell'associazione dei veterani delle Forze di difesa croate (Hos), bisognerebbe infatti intervenire a livello legislativo, ma l'associazione in questione ha già dichiarato: «Quel saluto non è fascista».

Equiparare i simboli ustascia a quelli comunisti porterebbe inoltre alla squalifica della stella rossa, molto presente su monumenti e targhe di epoca jugoslava, e che rappresenta però anche la lotta antifascista su cui lo Stato croato si basa. Per eliminare i riferimenti al comunismo, fa notare il portale regionale Birn, bisognerebbe dunque modificare la Costituzione, cosa che richiederebbe non solo una maggioranza dei due terzi in aula ma porterebbe anche alla scomoda posizione di dover criminalizzare delle istituzioni del passato.

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