Controlli di vicinato e vigili di quartiere: Trieste si divide sulla sicurezza

Il tema della sicurezza separa la politica a tutti i livelli, e a Trieste le diverse posizioni marcate a livello nazionale si accentuano in un contesto che in pochi anni ha vissuto un cambiamento significativo

Francesco Codagnone
La Polizia Locale
La Polizia Locale

Il dibattito è durato tre ore, e fino alla fine l’Aula è rimasta divisa tanto sulle cause e sulle origini dell’insicurezza reale e percepita, tanto sulle misure da attuare in tema di controlli, deterrenza, contrasto.

Il tema della sicurezza separa la politica a tutti i livelli, e a Trieste le diverse posizioni marcate a livello nazionale si accentuano in un contesto che in pochi anni ha vissuto un cambiamento decisamente significativo, segnato da importanti flussi migratori, una posizione di confine, contesti economici e sociali molto diversi da rione a rione.

La posizione del centrodestra

I dati, a seconda di dove li si guardi, offrono letture opposte. A destra del Consiglio comunale c’è una maggioranza che imputa l’escalation di episodi di violenza e degrado urbano all’«immigrazione incontrollata», all’«ondata di migranti», alla «forte presenza di stranieri che non si sono né vogliono integrarsi», e che su iniziativa di Fratelli d’Italia spinge ora per istituire il presidio dei “controlli di vicinato”.

Assemblee di cittadini volontari coordinati da un loro referente, che diventano sentinelle del proprio rione e si aiutano a vicenda per tenere d’occhio le rispettive case, monitorare movimenti sospetti, segnalare a vicini e forze dell’ordine eventuali difformità.

Sicurezza a Trieste, la politica si divide: «Gli stranieri non sono integrati», «Basta propaganda»
Milocchi, de Gavardo, Tonel e Dipiazza (Silvano)

La posizione del centrosinistra

Istituzione bocciata dal centrosinistra, che teme il fatto di delegare tali responsabilità ai cittadini e parla invece di «propaganda», di «spauracchi» e di «fallimento della giunta». L’opposizione punta il dito contro «la mancanza di strumenti di prevenzione» e chiede, semmai, più presidi sociali di prossimità. Azioni educative e punti di incontro e socialità – ricreatori, spazi per giovani, consultori familiari – che possano aiutare da una parte a lenire le cause del disagio, dall’altra a intercettare situazioni delicate o critiche, talvolta anticamera della violenza. Strumenti come, anche, il “vigile di quartiere”: un agente ben riconoscibile e incardinato a una specifica zona della città, tanto da diventarne un vero punto di riferimento e simbolo di legalità.

I controlli di vicinato

Residenti che fanno rete e diventano sentinelle delle vie del proprio rione

L’escalation di furti nelle abitazioni messi a segno nel giro di poche settimane aveva spinto, un anno fa, i residenti di San Vito e Campi Elisi a organizzarsi in autonomia. Piccole assemblee in cui coordinarsi tra vicini e chat Whatsapp in cui scambiarsi suggerimenti e segnalazioni, per aiutarsi reciprocamente a controllare i rispettivi appartamenti, tenere sott’occhio movimenti insoliti dentro e fuori il condominio.

Controllo di vicinato a San Vito: è polemica a Trieste
Il cartello sul controllo di vicinato affisso in un comune del Veneziano

La proposta scaturiva da esperienze analoghe maturate in altre città e regioni, e si trattava solo di un’iniziativa spontanea, basata sulla buona volontà e sulla solidarietà tra dirimpettai. A un anno di distanza, il tema dei “controlli di vicinato” diventa ora politico, dapprima con una proposta a firma di Fratelli d’Italia nella IV e VII Circoscrizione, e poi con un acceso dibattito tra maggioranza e opposizione in Aula: da una parte un centrodestra intenzionato a tirare dritto e “normare” – per la prima volta a Trieste – un tale strumento, dall’altra un centrosinistra perplesso (all’unisono, o quasi) circa l’opportunità di “delegare” ai cittadini temi in materia di sicurezza e controlli.

L’idea, in linea di principio, è quella di incentivare una maggiore partecipazione dei cittadini, seppur con interpretazioni diverse. Per “controllo di vicinato” si intende un gruppo organizzato di residenti di una determinata zona della città, che fanno rete e, su base del tutto volontaria, si supportano nel monitorare quel che accade nel proprio quartiere, nel raccogliere segnalazioni o scambiarsi informazioni.

Ad esempio, quando uno dei vicini parte per le vacanze, o viene ricoverato per un lungo periodo in ospedale, gli altri offrono la propria disponibilità a controllare il suo appartamento, a registrare ed eventualmente segnalare alle autorità movimenti strani o comunque sospetti. Per facilitare questa attività viene quindi nominato una sorta di “coordinatore”, cui viene delegato il compito di tenere i rapporti con le forze dell’ordine e, in modo più diretto, con la sala operativa della Polizia locale. Delle vere e proprie “sentinelle” nei rioni, animate da spirito civico.

Questo “patto di vicinato” può nascere appunto in forma spontanea, oppure – come ora proposto dai meloniani, a partire dalla IV e VII Circoscrizione – all’interno di una cornice istituzionale.

Per Trieste si tratterebbe della prima volta in cui amministrazione e forze dell’ordine andrebbero a formalizzare e definire puntualmente tutti i contorni dei “controlli” tra vicini: chi sono gli attori coinvolti nell’iniziativa, le competenze del “coordinatore”, le modalità di comunicazione con la Polizia locale. In tal caso potrebbe anche essere valutata l’affissione di cartelli, che avviserebbero della presenza di un tale presidio nel quartiere, con l’obiettivo anche di fungere da deterrente.

Resta però qualche perplessità all’interno del centrosinistra, contrario alla misura: i temi di sicurezza e controlli sono troppo complessi e delicati per essere anche solo lontanamente delegati ai singoli cittadini, che invece potrebbero beneficiare di più capillari e strutturati servizi di prossimità. 

I vigili di quartiere

Operatori dedicati sempre presenti e attivi in una zona della città

Agenti dalle divise ben visibili, incaricati di presidiare e pattugliare a piedi, quotidianamente, un’area specifica della città, che poi inevitabilmente finiscono per conoscere come le proprie tasche. Tanto da diventare in poco tempo un vero e proprio punto di riferimento per la comunità di quel quartiere, essere conosciuti per nome dai residenti del rione di riferimento, o addirittura contattati direttamente al telefonino da un commerciante o un esercente della zona in stato di necessità, o bisognoso di ascolto.

La figura del “vigile di quartiere” o “vigile di prossimità”, già presente in diverse città d’Italia e ora tornata alla ribalta del dibattito politico anche a Trieste, non può certo dirsi nuova per questa città. Alcune sperimentazioni furono attuate già nel corso delle precedenti consiliature nell’area di Rozzol Melara (e poi, per un breve periodo, anche tra largo Barriera e piazza Garibaldi).

Pattuglie sempre presenti in quel determinato quartiere, incaricate di contrastare tutto ciò che poteva incidere negativamente sul decoro urbano e sulla serenità dei residenti. Ma anche di monitorare il corretto comportamento sulla strada o, semplicemente, di raccogliere segnalazioni da parte dei cittadini. Un “servizio di prossimità” a tutti gli effetti, pensato per avvicinarsi alla popolazione e farsi da tramite tre le comunità locali e il corpo delle forze dell’ordine.

Quella volta, all’epoca delle prime sperimentazioni, i risultati furono valutati molto positivamente da cittadini, istituzioni e dalle stesse forze dell’ordine. Ma parliamo di un periodo compreso tra dieci e vent’anni fa. Un’enormità di tempo, considerato quanto Trieste e i suoi territori confinanti siano profondamente mutati da allora. È cambiata la composizione sociale ed economica della città, sono cambiati i flussi migratori, gli equilibri tra centro e rioni più periferici. I punti nevralgici, e critici, oggi sono diversi. Così come le necessità.

Fenomeni come risse a mano armata o spaccio tra minorenni all’epoca erano episodi rari, mentre oggi sono ormai entrati nel lessico della cronaca. L’operato della Polizia locale è molto diverso rispetto a dieci o vent’anni fa, richiedendo un grado di specializzazione sempre maggiore.

Il servizio di prossimità è stato quindi ripensato, basandosi ora sul dedicato Nucleo di Polizia di prossimità e sulla presenza dei distretti (passati da tre a quattro nel 2024).

Tema rilevante è poi quello delle forze in organico. In primavera un bando permetterà di sostituire una ventina di agenti in pensione o recentemente trasferiti in altre sedi, portando gli operatori della Polizia locale dagli attuali 225 a 240, più cinquanta amministrativi. Assunzioni che, per reintrodurre la figura del “vigile di quartiere”, al momento non sarebbero comunque sufficienti.—

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