Si espande il business della sigaretta elettronica

Già quattro i punti vendita a Trieste, altri tre in arrivo. Fipe: niente norme, nei locali ognuno si regola come vuole. Ma l’Azienda sanitaria mette in guardia sugli “evaporatori”
Una ragazza fuma una sigaretta elettronica in un locale pubblico a Roma. 27 dicembre 2012. ANSA/CLAUDIO PERI
Una ragazza fuma una sigaretta elettronica in un locale pubblico a Roma. 27 dicembre 2012. ANSA/CLAUDIO PERI

Lo scorso settembre a Trieste veniva inaugurata la prima rivendita di sigarette elettroniche. Oggi in centro se ne contano quattro e a breve arriveranno altri tre punti vendita. Anche nella nostra città la moda ha preso piede. C’è chi ha adottato questo strumento per cercare di perdere il vizio, ma anche chi lo utilizza per fumare nei luoghi dove la legge non lo consente come ristoranti, cinema o posti di lavoro. La richiesta tra i triestini è in netto aumento, i volumi d’affari di chi vende queste particolari sigarette stanno lievitando. Chi cerca un’alternativa alle “bionde” si rivolge facilmente a questi punti vendita invece che alle farmacie che per prime hanno proposto il prodotto. E in assenza di una normativa che ne regolamenti l’utilizzo nei luoghi pubblici, il fumo elettronico avanza a grandi falcate. Nei ristoranti e nei bar della nostra città ormai è sempre più frequente notare un vicino di tavolo “evaporatore” (questo il termine con il quale vengono definiti coloro che utilizzano al sigaretta elettronica).

«Per ora non ci sono direttive nazionali – conferma Bruno Vesnaver, presidente Fipe – e nell’attesa di studi che chiariscano tutti i dubbi del dibattito scientifico in corso ognuno si regola a suo modo. Ma in linea di massima i nostri associati non gradiscono l’utilizzo della sigaretta elettronica nei ristoranti o nei bar». Insomma, libero arbitrio. Mentre l’Azienda sanitaria mette gli utilizzatori su chi va là: «A chi cerca di smettere di fumare non la prescriviamo», spiega Rosanna Ciarfeo Purich, responsabile del Centro interdipartimentale di prevenzione e cura al tabagismo. Le diverse marche che propongono la sigaretta elettronica in città oltre ai diversi modelli di sigaretta offrono anche le ricariche liquide aromatizzate con o senza nicotina. Ma «se lo strumento è senza nicotina non serve a chi soffre di una dipendenza e cerca di smettere, – annota Purich – se invece la contiene, allora è un presidio che andrebbe venduto in farmacia e somministrato a corrette dosi. L’Unione europea – aggiunge l’esperta - sta mettendo a punto degli studi per regolarne l’utilizzo e valutarne l’innocuità».

Già, perché se è indubbiamente meno nociva della classica sigaretta, anche la “bionda” elettronica sta evidenziando qualche problema. «Si sono verificate irritazioni delle mucosa orale, – riferisce ancora la responsabile del centro dell’azienda – ed esiste uno studio che rivela un aumento delle resistenze semiperiferiche polmonari che riducono la capacità di respirazione». Meglio della “cicca”, dunque, ma non priva di controindicazioni. La sigaretta elettronica non è altro che un miniaerosol che sprigiona vapori aromatizzati. L’Organizzazione mondiale della Sanità in merito è stata chiara: «Certi ingredienti sono nocivi e c’è la necessità di regolarizzare l’impiego delle sostanze aromatiche contenute nella sigaretta perché, in alcuni casi, possono essere più pericolose del tabacco».

Nessuno comunque può essere multato perché usa la sigaretta elettronica in un luogo pubblico. Paradossalmente nemmeno a scuola o in ospedale potrebbe essere posto il divieto. Nelle sale cinematografiche, anche a Trieste, il divieto è a discrezione del gestore. Trenitalia non consente ai passeggeri il fumo “artificiale”. La “elettronica” viene tollerata negli aeroporti ma non a bordo. Tranne che sui voli su Ryanair, che vende le sue sigarette.

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