Sfuma il maxi polo autostradale del Nord

Il presidente della Brescia Padova boccia la fusione con Autovie «Impossibile mettere insieme realtà private e società pubbliche»

di Marco Ballico

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Premette di non voler entrare in casa d’altri. E non lo fa. Ma, senza dribblare la questione, chiarisce che il progetto di un polo autostradale del Nord-Nordest è destinato a restare solo un’ipotesi sulla carta. Giulio Burchi è uno specialista dei trasporti. È stato presidente e ad della Metropolitana Milanese, presidente di Italferr, consigliere della Serravalle Tangenziali Milano, da 13 anni è numero uno della A15 Parma/Spezia e nell’aprile 2013 stato indicato da Banca Intesa Sanpaolo nel ruolo di amministratore delegato di A4 Holding e Autostrada Brescia Padova. Realtà a cui la concessione scadrà nel 2015 e che dunque, in teoria, potrebbe avere tutto l’interesse ad “allearsi” con Autovie. La spa regionale, infatti, ha un orizzonte temporale più lungo, fissato al 2017, e un’eventuale aggregazione consentirebbe all’intero gruppo di rimodulare il piano finanziario sulla scadenza più lontana. L’operazione insomma, per la Brescia Padova, potrebbe essere più che vantaggiosa. Eppure Burchi, forte dell’osservatorio privilegiato di chi ha lavorato tanto con il pubblico quanto con il privato, non ha dubbi: «Gestire autostrade - spiega il manager - non è il mestiere delle amministrazioni pubbliche».

Si torna a parlare di possibili sinergie, se non addirittura di fusioni tra gruppi autostradali. Che ne pensa?

Dibattito di lunga data e pure alimentato da un emendamento del governo Letta mirato a favorire proprio le operazioni di fusione. In parte per prolungare le concessioni, ma anche perché c’è una chiara indicazione europea in tal senso.

Percorso che si può avviare concretamente?

Ciò che dice l’Europa è condivisile: su una scala industriale più grande i diversi soggetti in campo possono ottenere vantaggi. Ma in Italia la situazione è particolare.

Quali i nodi?

L’eccessiva frammentazione, anche tipologica. Se la Brescia Padova, per fare un esempio, è una società a prevalente capitale privato (due i soci “pesanti”, Banca Intesa e il Gruppo Chiarotto, ndr), Autovie Venete si presenta invece quasi totalmente pubblica. Senza dimenticare che in mezzo c’è Cav, e quindi Anas e Regione Veneto. Di poli e aggregazioni si parla spesso; il pensiero, in linea di principio, è corretto, ma gli ostacoli non mancano.

Insormontabili?

Noi abbiamo società che già lavorano per Autovie. Si possono trovare economie di scala e modalità di procurement interessanti, ma parlare di fusioni mi sembra assai prematuro. Anche culturalmente: da un lato i privati puntano a vedere remunerato il loro capitale, dall’altro il pubblico auspica un arricchimento infrastrutturale per la comunità ed è meno attento ai dividendi.

Riassumendo?

Il progetto è auspicabile ma di complessa realizzazione, come l’aggregazione che era stata ipotizzata fra Brescia Padova e la Brennero. Con normative europee rigidissime, manca un adeguato contenitore legislativo.

Con la Provincia di Trento siete divisi sulla realizzazione della Valdastico Nord, dal confine veneto al Trentino. Qual è la situazione aggiornata?

Il progetto ha già acquisito la Via, il Veneto è d’accordo, i soldi ci sono, ma la Provincia di Trento, a ogni proposta sul tavolo, tira fuori qualche ostacolo, senza però dare indicazioni di come superare le difficoltà. Un danno gravissimo non per noi, ma per l’erario perché, se non si procede, perde di senso anche la Valdastico Sud, già realizzata con un costo di 1,2 miliardi.

Sull’opera si giocano anche i destini delle concessioni?

Abbiamo due anni di proroga fino al 2015 per ottenere l’approvazione del progetto, ma siamo fiduciosi di chiudere positivamente questa fase per poter così confermare il Piano finanziario al 2026, data che certo non ci siamo inventati noi.

Autovie si ritrova la Venezia-Trieste a scadenza nel 2017.

Non entro in casa d’altri. La società Fvg saprà come muoversi.

Per realizzare la terza corsia si devono toccare le tariffe. Un cortocircuito in questo contesto economico?

I piani finanziari si fanno con i flussi di traffico, niente di più facile. Resto ancora in casa mia: noi siamo privilegiati perché non abbiamo viabilità alternativa, conosciamo le entrate in anticipo a meno di pochi scarti percentuali, l’operazione sconti per i pendolari non ci ha creato particolari problemi. Si tratta di calibrare bene i tempi degli investimenti.

Gestore pubblico o gestore privato?

Le società che perseguono un obiettivo sociale devono avere come stella polare il rendimento. Per me gli enti pubblici dovrebbero oggi liberarsi di questo impegno. In passato la loro presenza è stata senz’altro meritoria per lo sviluppo della mobilità nel Paese, ma non può più essere il loro mestiere. Come si è visto con intromissioni spesso anche non trasparenti della politica, che nulla dovrebbe c’entrare con il far camminare meglio la gente per strada.

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