Sfida per l’Imu in banchina Il Comune vuole 5 milioni
Gli uffici dell’area finanziario-tributaria ne sono convinti: il Comune triestino potrebbe incassare dai 4 ai 5 milioni di euro se, al termine del serrato contenzioso legale in atto, riuscirà a spuntarla sui concessionari portuali, per ottenere il pagamento dell’Imposta comunale sugli immobili (Ici).
La stima, resa in via ufficiosa dalla struttura, inquadra la decisione giuntale di costituirsi davanti alla Commissione tributaria regionale (Ctr), per resistere al ricorso presentato dalla Romani & C. spa contro la sentenza della Commissione provinciale, sentenza che nel maggio 2017 ha visto l’azienda portuale soccombente. La delibera è stata illustrata dall’assessore Giorgio Rossi, previa messa a punto da parte del responsabile dell’area Vincenzo Di Maggio.
L’importanza economico-giuridica della posta in gioco fa sì che ancora una volta, per questo particolare genere di cause, il Municipio triestino si sia affidato alla studio genovese Uckmar, più precisamente all’avvocato Caterina Corrado Oliva, che aveva già patrocinato l’amministrazione in un analogo caso versus la Grandi Molini. La parcella concordata è di 19 mila euro, tutto compreso.
La delibera insiste sulla necessità di contrastare l’appello della Romani, «per il fatto che ottenere la conferma della debenza dell’Ici ... può essere importante anche per i futuri sviluppi del più generale contenzioso tra Comune e concessionari». «Il giudizio tributario - recita ancora la delibera - è di rilevante importo economico e di particolare interesse per l’ente». In altri termini, il risultato davanti alla Ctr farà giurisprudenza e sarà di riferimento per le altre pendenze. Va ricordato che, oltre alla Romani e alla Grandi Molini, avevano impugnato le cartelle di accertamento Ici anche Pacorini e Parisi, nient’affatto convinti di dover saldare il tributo comunale.
La questione risale alla legge 388/2000, che dispose il pagamento dell’imposta sugli immobili anche ai concessionari demaniali. L’Ici viene determinata in base alla rendita catastale e proprio sui criteri di accatastamento si accese il conflitto, dopo che dal 2007 il Comune cominciò a recapitare gli avvisi. Perchè se l’accatastamento avviene in classe D, riguarda trasformazione e stoccaggio delle merci, quindi è soggetto al pagamento dell’imposta. Se invece avviene in classe E, con riferimento al mero carico/scarico delle merci, l’immobile è esente dall’Imu.
Ne discende che anche l’interesse pubblico non è unanime: il Comune vuole incassare il suo tributo, ma l’Autorità, cui preme la promozione e l’attrattività dello scalo, non può certo essere entusiasta che su hangar e magazzini pendano gravami fiscali.
La discussione sui criteri di accatastamento ha fatto sì che gli avvisi comunali siano andati assai spesso “deserti”. Così è andato maturando un pregresso da 6-700 mila euro all’anno: numeri pesanti, dai quali gli uffici del Municipio hanno distillato quella orientativa previsione tra i 4-5 milioni di possibile incasso.
Tra l’altro dal prossimo anno - rilevano in Comune - gli stabili in questione saranno iscritti solo nella classe E, quindi non si porrà più il problema: già, dal prossimo anno, quindi sta a significare che in passato la distinzione D/E aveva senso. A maggior ragione il Comune vuole incassare la sua Imu.
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