Sette notti al freddo nel dirupo, ferito e in compagnia del cane Ash: ecco come l'escursionista triestino si è salvato

TRIESTE. È riuscito a sopravvivere per 7 notti nel bosco, a temperature sotto zero, senza mangiare e bere. Era ferito: scivolando in un canalone, sul versante nord del monte Chiampon (a Venzone, in provincia di Udine), si era rotto una gamba e non riusciva a camminare. Si è trascinato fino alla vicina strada forestale per poter essere trovato. Si è coperto con le foglie, con un telo termico e con la mappa Tabacco. Con lui c’era il suo cagnolino Ash che gli è rimasto accanto. Questa la drammatica esperienza vissuta dal 33enne triestino Michele Benedet che aveva raggiunto le Prealpi Giulie per una camminata in solitaria. Ma al primo obiettivo, Casera Navis, non è mai arrivato perché, come lui stesso ha riferito ai soccorritori, si è fatto male il primo giorno ed è rimasto sette notti nella zona in cui ieri è stato soccorso grazie all’allarme lanciato mercoled’ dalla fidanzata.
La partenza per questa escursione risale a giovedì 11 febbraio quando il 33enne e il suo compagno a quattro zampe sono saliti sul treno a Trieste. Secondo quanto hanno spiegato i familiari, non era la prima volta che Michele organizzava un’escursione da solo in montagna. Così si è diretto verso la Val Venzonassa, tra il versante nord del Chiampon e il monte Plauris. Quando è stato avvistato dai soccorritori era poco lontano da forcella Tacia.
Ed era sempre giovedì 11 quando il 33enne è scivolato per molti metri lungo un canalone, non lontano dal sentiero Cai 709. Rotolando giù per il pendio si è procurato un trauma al torace, una frattura alla caviglia e altre botte. Come lo stesso escursionista ha raccontato ai soccorritori, le ferite gli hanno impedito di procedere e così ha potuto solo trascinarsi, a fatica, per alcune decine di metri fino alla vicina strada forestale di Venzone. Per arrivare lì si è disfatto dello zaino che limitava i suoi movimenti.
Pur sofferente, si era fatto forza e aveva cercato dei pezzi di rami da utilizzare come stampelle. Ma poi il dolore era stato talmente forte da fargli quasi perdere i sensi. E quindi il risultato era stato uno stop obbligato. Il 33enne ha utilizzato le cose che aveva tirato fuori dallo zaino (telo termico e cartina) per ripararsi dal freddo insieme al suo cane. Si è anche coperto con uno strato di foglie. Ma non ha potuto né mangiare, né bere: quello che si era portato era rimasto nello zaino. Ha cercato di dissetarsi nel vicino Rio Cjadin perché aveva sentito scorrere l’acqua, ma non è riuscito a raggiungerlo.
Il momento più difficile era l’imbrunire. Giorno dopo giorno. Quando si faceva buio diminuivano le speranze di essere raggiunto. E lì il cellulare non prendeva. Aveva sentito rumori che gli avevano fatto pensare al possibile arrivo di qualcuno. Ma poi non si era visto nessuno.
Michele Benedet aveva il telefonino spento. Lo teneva sempre staccato durante le gite in quota, sia per stare tranquillo, sia per avere la batteria carica in caso di necessità. E così Francesca, nei giorni dell’escursione non si è preoccupata. Sapendo che avrebbe dovuto tornare lunedì, martedì era già un po’ in pensiero. Poi mercoledì sera, non essendo ancora riuscita a contattarlo, ha telefonato al 112.
Le informazioni su dove avrebbe potuto trovarsi il 33enne non erano molte. La fidanzata aveva indicato come unico punto certo solo Casera Navis, rifugio che ricordava di aver sentito nominare dal compagno. Gli uomini della stazione di Udine del Soccorso alpino, verso le 7.20 di ieri, hanno cominciato la perlustrazione aerea a bordo dell’elicottero della Protezione civile.
«Dapprima siamo scesi a Casera Navis – racconta Sergio Buricelli, presidente del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico del Fvg che ha effettuato il soccorso insieme a Raffaello Patat – per vedere se di lì era passato qualcuno. Non trovando tracce utili, abbiamo ripreso a setacciare la zona. Dopo poco, anche grazie all’esperienza del pilota e del tecnico dell’elicottero, abbiamo visto un riflesso metallico nel bosco e ci siamo avvicinati. Guardando meglio abbiamo visto un uomo che muoveva il braccio. Abbiamo sbarrato gli occhi, eravamo increduli e siamo ancora emozionati per averlo trovato vivo. Era cosciente e felice di vederci. Il cagnolino all’inizio sembrava voler difendere il suo padrone, ma poi ha capito che eravamo lì per loro, si è fatto accarezzare e ha mangiato qualcosa».
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