Sesana, la mamma nega: «Il killer è un altro»
Dall’autopsia è emerso che la donna avrebbe anche strangolato oltre che soffocato uno dei due figli uccisi
SESANA
«Qualcuno ha ucciso i miei due bambini. Li ha soffocati. Non sono stata io e non so chi lo abbia potuto fare...». Kristina Mislej, 35 anni, la mamma di Sesana accusata dell’infanticidio di Ema e Mitja, i suoi figli di due e quattro anni, non riesce ad accettare la terribile situazione di cui lei stessa è stata autrice e regista nella notte tra sabato e domenica. Prima al padre, medico in pensione, poi agli uomini del Pronto soccorso, infine ai poliziotti, agli inquirenti e agli psichiatri, da tre giorni continua a raccontare la sua «verità»: «Sono innocente». «Anzi, qualcun altro estremamente abile e molto difficile da identificare ha ucciso i miei figli all’interno dell’appartamento posto al secondo piano dello stabile di via Ivan Tursic 7».
Come si comprende facilmente, la mamma divenuta «strega cattiva» non riesce ad accettare la realtà delle due morti, si rifugia in sogni deliranti, accusa fantasmi, cerca diversivi. Non riesce ad assumersi le proprie responsabilità perché l’abisso - in questo caso - si spalancherebbe per sempre davanti a lei. La notte in cui ha ucciso Ema e Mitja, soffocandoli sul divano, Kristina Misley aveva oscurato tutte le finestre dell’appartamento e, secondo i sanitari, aveva anche abbondantemente bevuto per intontirsi con l’alcol.
Quando si è resa conto di avere ucciso con le sue mani i due figli, ha subito telefonato al padre Iztok Mislej, sostenendo di «non sentire più Mitja ed Ema respirare. Stavo leggendo loro un libro di favole». Queste parole rappresentano il primo scudo, la prima linea di difesa della donna. Poi, non potendo assumere in nessun modo il ruolo di assassina, la mamma si è rifugiata in altre fantasie autoassolventi. Ha ipotizzato la presenza in casa di un altro adulto a lei sconosciuto...»
Ora Kristina Mislej è ricoverata nella sezione psichiatrica dell’Ospedale di Idria e su di lei viene esercitata la massima vigilanza dal momento che esiste un’alta probabilità che possa compiere un gesto tanto autolesionistico quanto disperato.
Finché riuscirà a convincersi che un’altra persona ha ucciso Ema e Mitja, questo gesto disperato non sarà compiuto; se al contrario capirà cos’è effettivamente accaduto sabato notte, ogni soluzione è aperta e possibile. L’autopsia e l’esame esterno dei due piccoli corpi, hanno portato in superficie altri dettagli sconvolgenti: sul collo del maschietto sono emersi i segni evidenti dello strangolamento. Per soffocare Mitja non sono stati dunque sufficienti i cuscini premuti a forza sulla piccola bocca e sul naso. Sono state necessarie anche le mani e la loro stretta mortale.
Come Kristina Mislej potrà accettare questa ricostruzione dell’omicidio, al momento è difficile dire. Certo è che fin dall’epoca della scuola dell’obbligo la donna al centro di questa storia terribile aveva manifestato segni d’insofferenza e stravaganza nei rapporti con gli altri alunni. Più volte gli insegnanti avevano segnalato quelle che apparivano anomalie comportamentali, ma il padre medico aveva aiutato e protetto in ogni modo la figlia. Le aveva costruito attorno un sistema di sicurezza e di tutela, forte anche delle sua posizione sociale e del ruolo rivestito.
Ora a Sesana molte persone, i cui figli sono stati compagni di scuola della mamma indagata per l’infanticidio dei suoi due figli, stanno cercando di fare emergere pubblicamente gli antichi problemi che - se affrontati per tempo e senza reticenze o protezioni - avrebbero forse evitato tanto dolore. Sul banco «virtuale» degli imputati rischiano di finire anche i servizi sociali che non avrebbero compreso la gravità dello stato mentale di Kristina Misley o lo avrebbero sottovalutato.
Certo è che la dipendenza dall’alcol ha aggravato la situazione psichica già difficile delle donna. Un altro colpo alla sua stabilità è stato inferto dalla separazione dal marito, Edward Gorup, sfociata nel rientro coi figli nell’abitazione dei propri genitori. Tre mesi fa la svolta e il tentativo di affrancarsi dalla famiglia, cercando di costruirsi un proprio spazio e una vita autonoma nel condominio di via Ivan Tursic 7.
Come si sia concluso questa tentativo è sotto gli occhi di tutti. Il marito, dipendente del Casinò di Cosina, era rientrato anche lui a vivere in famiglia, a Smarje, piccola località carsica slovena. Intanto stanno entrando in scena gli avvocati. È evidente che il difensore di Kristina Mislej, l’avvocato Branko Gvozdic, cercherà di accreditare la tesi dell’infermità mentale della sua cliente. Niente processo, nessuna condanna ma una lunga permanenza in una casa di cura per malati psichici.
Non dovrebbe essere molto difficile raggiungere questo obiettivo. Il marito si è invece rivolto allo studio legale Matos per cercare di definire a livello di Tribunale le eventuali responsabilità di chi doveva agire e avrebbe lasciato correre, rinviando ogni soluzione, smorzando i fatti, nascondendo le verità e persino alterando documenti.
Riproduzione riservata © Il Piccolo
Video