Servizi socio-educativi chiusi per Coronavirus, 500 lavoratori senza paga a Trieste
TRIESTE In tempi normali si prendono cura dei nostri figli negli asili nido, nei ricreatori, nelle mense. Ora la crisi scatenata dal coronavirus li ha lasciati senza stipendio. Sono oltre 500 lavoratori a Trieste e quasi 3 mila in tutta la regione, secondo le stime di Confcooperative: sono gli operatori dei servizi socio-educativi che lavorano per cooperative in appalto o convenzione con i Comuni, le cui attività sono state sospese a causa dell'epidemia. Lo stop ai servizi ha comportato anche la sospensione dei pagamenti da parte degli enti locali, lasciando le cooperative a corto di fondi, e i loro dipendenti senza salario. Una situazione a cui, per il momento, si risponde con gli ammortizzatori sociali, ma potenzialmente gravida di conseguenze negative nei prossimi mesi.
Un settore in crisi
Virgilio Toso di Cgil Funzione pubblica di Trieste conosce bene il problema, di cui si è occupato dall'inizio dell'emergenza: «Parliamo di un settore che è in crisi conclamata – racconta -. Sia firmatari dei contratti collettivi, Cgil Cisl e Uil, che le associazioni datoriali l'hanno reso noto alle istituzioni da tempo. In queste settimane abbiamo firmato decine di accordi di integrazione salariale, alcuni anche di cassa in deroga». Tutti strumenti che consentono di tamponare il problema, ma non di risolverlo: «I fondi di integrazione salariale sono penalizzanti dal punto di vista retributivo – dice Toso – si arriva al 70% dello stipendio, e comunque non saranno sufficienti a coprire i prossimi mesi». I sindacati chiedono che i decreti emessi dal governo in queste settimane vengano interpretati in modo da consentire ai Comuni di emettere i pagamenti a favore delle cooperative, ad esempio quelle che gestiscono nidi e centri estivi, a fronte dell'erogazione di servizi alternativi. «Quelle risorse sono già a bilancio – è il ragionamento – e corrisponderle non comporterebbe spese aggiuntive». Nei giorni scorsi le sigle hanno incontrato gli uffici del Comune di Trieste proprio per discutere questa possibilità. Che però non è di facile applicazione per tutti.
Il caso dei nidi di Trieste
L'amministratore dell'asilo nido Piccole Tracce di San Giacomo, Cesare Cetin, si trova alle prese con questo problema, da un lato, e dall'altro con la necessità di preservare il posto di lavoro dei propri dipendenti. «Il Comune ci dice che mettendo in campo dei progetti alternativi potrebbero pagarci, ma ci dicono che così facendo perderemmo l'accesso alla cassa integrazione. Anche per questo pochi stanno davvero pensando di presentarli». La didattica a distanza è di difficile applicazione in generale, tanto più per i nidi. La preoccupazione è per il futuro prossimo: «La nostra convenzione finisce a giugno, sarebbe cosa buona prolungarla a luglio e agosto, dandoci la possibilità di accogliere dei bambini anche in quei mesi». Al momento, conclude Cetin, «siamo in un limbo assoluto»: «Non sappiamo nulla del nostro futuro. Il punto non è tanto riaprire, ma come. Con quanti dipendenti». Anche perché questi mesi di chiusura non hanno liberato i gestori di costi fissi come affitti o bollette.
Oltre al gestore, va considerato il punto di vista degli utenti. Delle famiglie e in particolare dei bambini. Gli operatori fanno notare come bisogni pensare da subito al rientro, qualora avvenisse a settembre, anche dal punto di vista educativo. I bambini rientreranno all'asilo dopo mesi di chiusura tra le mura domestiche, in realtà famigliari che non sempre costituiscono ambienti positivi, dopo aver reciso a lungo molti legami sociali, anche fra bambini. Una situazione inedita che il personale educativo dovrà essere preparato ad affrontare.
L'appello del Comune
L'assessore all'Istruzione del Comune di Trieste Angela Brandi illustra il punto di vista dell'ente locale: «Noi abbiamo proposto ai gestori, in un recente incontro, di fare attività didattica online, visto che l'articolo 48 del decreto legge 18 consente ai Comuni di avvalersi dei privati per farla. Da tutti gli operatori però sono arrivate solo tre idee di progetto. Il che è comprensibile, visto che lo stesso decreto dice che noi possiamo pagare quelle attività, ma non consente la coesistenza con gli ammortizzatori sociali. Abbiamo infatti invitato gli operatori a valutare le due opzioni».
Al momento, prosegue Brandi, lo spazio di manovra del Comune è molto ridotto: «I fondi che possiamo dare attraverso la didattica a distanza sono comunque una goccia nel mare. Non possiamo aiutarli sui costi incomprimibili, affitti e bollette. Non vorremmo un domani incorrere nelle attenzioni della Corte dei conti». Lo stesso Comune è in difficoltà nel mantenere il proprio personale a tempo determinato: «Per il momento ci siamo agganciati alla norma che ci consente di salvare i loro contratti attraverso la didattica a distanza, ed è quello che abbiamo fatto: non è il momento di mandare della gente a casa».
Brandi passa quindi la palla al governo e alla Regione: «Roma dovrebbe pensare a degli interventi specifici per questo settore. Anche la Regione potrebbe fare la sua parte». Nelle settimane scorse l'ente regionale aveva avviato le pratiche per conferire comunque ai Comuni i fondi per l'abbattimento delle rette scolastiche, perché venissero girati ai gestori dei servizi: «Ma i gestori non possono fare tariffe su servizi non erogati – dice Brandi -. Quel che dovrebbero fare è intervenire direttamente sui gestori dei nidi. Anche perché rischiamo che il prossimo anno molte realtà private non riaprano, il che sarebbe un problema anche per noi. Noi siamo disponibili a fare la nostra parte, ma non abbiamo le risorse per salvare tutti».
La palla passa in Regione
Del tema si è occupato di recente Francesco Russo, consigliere comunale del Partito democratico, in un'interrogazione al presidente Massimiliano Fedriga in cui chiede alla Regione di intervenire a sostegno di chi opera nei servizi educativi e domiciliari: «L’impatto dell’emergenza Covid-19 sul sistema cooperativistico è devastante - afferma Russo -. Parliamo di un settore nato a Trieste e punto centrale del sistema di welfare. Il problema principale di questa fase è il blocco dell’attività programmata, in particolare dei servizi domiciliari e scolastici aggiungendo ulteriori criticità anche agli assistiti. Le amministrazioni con lo stop dei servizi stanno risparmiando risorse, che in realtà potrebbero essere comunque erogate alle cooperative».
La proposta di Russo «è che si paghi intanto quanto già programmato per i mesi di marzo e aprile, riprogrammando subito le attività future. In questo modo andremo a supportare un settore che rischia di scoppiare».
Il sindacalista Toso rincara la dose: «Trieste è un territorio con caratteristiche specifiche, che richiedono un intervento economico mirato. Bisogna trovare gli strumenti per consentire un accesso ampio alla cassa integrazione, perché i fondi di integrazione allo stipendio non sono sufficienti. La riapertura delle scuole non è all'orizzonte e dei centri estivi non sappiamo ancora nulla. Siamo molto preoccupati di quel che potrebbe succedere se tutto andasse avanti così fino a settembre».
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