Sertubi, via le macchine. Altri 50 sulla strada

La denuncia di Pepe (Fim-Cisl): l’azienda porta le “centrifughe” in India. I dipendenti superstiti accusano le istituzioni di averli abbandonati
Lavoratori alla Sertubi
Lavoratori alla Sertubi

I 75 dipendenti superstiti tremano, i 50 che hanno resistito in cassa integrazione tra due mesi finiranno in strada. La spoliazione di Sertubi continua: già domani gli operai e i tecnici della ditta incaricata potrebbero presentarsi in fabbrica per smontare le tre “centrifughe”, cioé le macchine che servono a costruire i tubi, e trasferirle in India: è la fine definitiva dello stabilimento triestino come azienda di produzione.

L’accordo è stato stretto qualche giorno fa tra Duferco, proprietaria dello stabilimento e Jindal Saw Italia, la società indiana che ha in affitto il ramo d’azienda. I tre macchinari per realizzare in Asia i prodotti che fino al 2011 fa erano fabbricati a Trieste vengono “barattati” con altri cinque anni, con scadenza di conseguenza portata dal 2016 al 2021, del contratto d’affitto. Quello che lancia Michele Pepe, rappresentante di fabbrica di Fim-Cisl, è l’ultimo, ancora più disperato grido di allarme. «Ci ha convocati il presidente del consiglio di amministrazione di Jindal Saw Italia, Maneesh Kumar - riferisce Pepe - per dirci che è stato raggiunto l’accordo con Duferco, che l’affitto viene prorogato, ma che le centrifughe saranno portate via con o senza l’assenso tra le parti sociali perché è stata conclusa una trattativa tra due privati».

Fiom-Cgil: «Ricollocare i 56 cassintegrati della Sertubi»
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L’atto che trasforma una fabbrica in un semplice centro di smistamento e vendita di tubi indiani in Europa si compie nel dicembre 2012 allorché, per salvare il salvabile, i sindacati sono costretti a firmare un accordo che dei 208 dipendenti ne mantiene soltanto 65 mettendone in cassa integrazione 143. I rappresentanti dei lavoratori si aggrappano alla società proprietaria, la Duferco, ma quando il suo amministratore delegato nonché presidente di Federacciai, Antonio Gozzi qualche giorno dopo arriva in città, gela tutti: «Tenetevi stretti gli indiani che almeno conservano questi posti di lavoro - afferma in buona sostanza - perché noi altrimenti siamo costretti a mandarvi a casa tutti 208». Nelle settimane seguenti vengono riassorbiti altri sette lavoratori che portano l’organico a 72 unità, ma di questi soltanto una trentina sono operai, per il resto si tratta di tecnici e impiegati. Le file dei 136 che restano in cassa integrazione straordinaria gradualmente si assottigliano. «In queste situazioni la vita per chi ha famiglia è molto dura - spiega Pepe - qualche fortunato è riuscito a trovare un altro lavoro, la maggioranza ha preferito licenziarsi per intascare le tredici mensilità di buonuscita».

Ma rischia di avvicinarsi anche la resa dei conti finale, certamente per la cinquantina scarsa che ha resistito per due anni in cassa e che dal primo gennaio sarà in mobilità e forse, temono i sindacalisti, anche per una parte dei 72 dipendenti in attività che rischiano di essere ulteriormente decimati. La crisi infatti continua a pesare e il mercato resta asfittico. «Nei depositi di via von Bruck e in quello che abbiamo al terminal di Fernetti - spiega Pepe - vi sono ammassate almeno 12mila tonnellate di tubi che non riusciamo a smaltire. Negli ultimi anni di produzione il nostro mercato di riferimento era il Medio Oriente e l’Irak in particolare, ma pesa anche il continuo aggravarsi della crisi politico-militare in quell’area che non favorisce certamente le ordinazioni».

Sertubi, i dipendenti fanno muro contro il trasloco dei macchinari
Gli operai della Sertubi durante una manifestazione di protesta in una foto d'archivio

Molti lavoratori guardano ancora alla Sertubi come a un gioiellino che oltre a fare prodotti di qualità aveva offerto a centinaia di persone un’occupazione sicura. «Sarebbe una beffa - sottolinea il rappresentante Fim - che l’azienda fosse chiusa proprio ora che l’arrivo di Arvedi assicurerà la produzione della ghisa in casa. Ma è quanto temiamo dal momento che anche quando sbarcò a Trieste, Jindal Saw Italia assicurò che avrebbe mantenuto se non addirittura incrementato gli organici e invece dopo pochi mesi sbatté fuori oltre 140 persone». L’appello viene lanciato alle istituzioni e all’amministrazione regionale in particolare. «La Regione è probabilmente all’oscuro di questo accordo tra Duferco e Jindal Saw - sostiene Pepe - e l’impressione è che non si stia affatto muovendo per salvare la nostra azienda. Abbiamo chiesto un altro incontro per essere riconvocati. Dopo la salvezza della Ferriera sarebbe assurdo chiudere Sertubi: dobbiamo continuare a lavorare in via von Bruck o, ipotesi ancora migliore, trasferire l’azienda nell’area di Servola». Un invito alle istituzioni a rispettare l’impegno preso per il ricollocamento dei lavoratori di Sertubi è stato recentemente fatto anche da Stefano Borini (Fiom-Cgil) che sostiene che nello stabilimento di via von Bruck potrebbero trovare spazio aziende specializzate nell’off-shore, settore nel quale, secondo la Confindustria locale, Trieste ha molte potenzialità di crescita.

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