Serracchiani: «Superporto traino per l’intera regione»
UDINE. «La mossa chiave per portare a casa il risultato? Non parlarne con nessuno». Debora Serracchiani racconta il lavoro lungo un anno per il decreto attuativo che norma il regime di Punto franco internazionale del porto di Trieste. Un’attività tecnica e diplomatica che l’ha vista perfino non segnare in agenda gli appuntamenti con i ministri: il silenzio è d’oro. Adesso, dopo la firma di Graziano Delrio, la presidente della Regione può invece entrare nei dettagli di un’operazione che, in concreto, consente di poter fare manifattura industriale, trasformazione delle merci e logistica in un sistema doganale unico in Europa. Opportunità, assicura Serracchiani, che avvantaggia tutto il Friuli Venezia Giulia, non solo un capoluogo troppo spesso, in passato, zavorrato dalle divisioni.
Presidente, qual è stata la chiave per centrare il risultato?
Doveva esserci una motivazione molto forte se, nonostante l’allineamento dei pianeti sia per il centrodestra che per il centrosinistra sull’asse Roma-Trieste, quel decreto non aveva visto la luce dal 1954. Abbiamo quindi, con Zeno D’Agostino, lavorato con determinazione, ma muovendoci nell’ombra. Con la certezza della formidabile sponda dei ministri Delrio e Padoan.
Avete anche battuto il “no se pol”?
Per tanto tempo si è tenuta Trieste sotto una cappa. L’amministrazione regionale ha però voluto investire nel porto di Trieste, in quello di Monfalcone e più in generale nella portualità regionale come traino per l’intero Fvg.
La cappa è legata al “camberismo”?
Non ho mai incontrato il senatore Camber. Vedo che spesso si occupa di me, e non sempre con stile. Diciamo solo che a volte la città si è addormentata sulle proprie opportunità.
Il sindaco Dipiazza, ringraziando quanto fatto dalla gestione Monassi, si è appropriato di una parte dei meriti. Come giudica quell’uscita?
Spero gli sia scappata una frase. Tutti sanno chi ha agito e chi no.
Roberto Cosolini ricorda invece quando le propose Zeno D’Agostino. Un altro passaggio determinante?
Di D’Agostino avevo parlato con Cosolini, ma a un certo punto erano emerse proposte diverse. Diciamo che poi, insieme, abbiamo fatto fortunatamente la scelta giusta.
È stato merito suo?
Non mi prendo meriti. Ho semplicemente insistito molto per una persona che aveva la cultura dell’azione, ma anche la capacità delle relazioni. Mi sono poi permessa di fare a D’Agostino la richiesta di individuare un segretario generale che sciogliesse alcuni nodi inchiodati da troppo tempo in porto come l’Agenzia per il lavoro. E Mario Sommariva era il candidato migliore.
La Cina guarda a Trieste. Che cosa ci dobbiamo aspettare?
Grazie a Paolo Gentiloni, all’epoca in cui era ministro, sono entrata in contatto con l’ambasciatore italiano a Pechino, Ettore Sequi. D’Agostino è stato spesso in Cina. Fondamentale anche il forum a Trieste sulla Via della seta. Gli interessi cinesi sono svariati: per la parte logistica, per quella di insediamento industriale, per quella portuale. Entro pochi mesi ne vedremo gli sviluppi. Il decreto attuativo non è la ciliegina sulla torta, ma un portone che viene spalancato. Il porto di Trieste non lo ferma più nessuno.
Alla vigilia delle comunali 2016 si è detta preoccupata dall’immobilismo di una nuova giunta Dipiazza. Come stanno andando le cose?
Penso che si stiano raccogliendo a Trieste i frutti di quanto costruito in questi anni.
Teme che una Trieste così rafforzata dal Punto franco corra troppo veloce per il resto del Fvg?
No. Una delle più belle immagini che conservo è quella dello stand regionale alla biennale della logistica a Monaco, con porto, interporti e aeroporto nel logo. Una strada vincente. Lo dimostrano un interporto di Pordenone che può servire sia il Veneto che il Fvg, Cervignano che sta diventando retroporto di Trieste, Monfalcone che si unisce a Trieste in una straordinaria piattaforma logistica, Consorzi industriali in via di aggregazione, gli investimenti sul polo intermodale.
La classe dirigente è all’altezza di queste sfide?
In questi anni ho lavorato con persone di grande valore. Così come sono soddisfatta del lavoro fatto assieme alle categorie economiche e alle parti sociali da molte partecipate regionali. Ma inevitabilmente, come dappertutto, c’è una parte di classe dirigente che o manca di responsabilità o preferisce continuare a vivere di rendite e posizioni.
Trieste capitale europea della scienza. È ottimista?
Questa candidatura nasce con il piede giusto. La appoggia tutto il mondo triestino. E tutto il mondo della cultura Fvg.
La direzione Ambiente ha intimato ad Arvedi di ridurre la produzione all’interno della Ferriera. È il segnale che si apre un ragionamento sull’area a caldo?
Noi, segnali, li abbiamo sempre dati. E il monitoraggio dell’Aia è stato costante. La Regione ha fatto con rigore quello che doveva fare. La Ferriera deve rispettare i limiti di legge ed essere in grado di coesistere con la città. Ma, come abbiamo sempre detto, se l’area a caldo inquina, occorrerà avviare un percorso che porti alla sua chiusura.
Che tempi dà all’azienda?
La tempistica è chiarita nella diffida. Attendiamo che Arvedi prenda posizione. Se non riusciamo a vincere la sfida, dobbiamo pensare a soluzioni alternative.
In che modo salvare i posti di lavoro?
L’accordo di programma quadro non prevedeva il laminatoio a freddo, ma l’interlocuzione con l’impresa ha fatto sì che l’azienda lo realizzasse. Quel tipo di impianto può assorbire una parte di lavoratori. Un’altra parte può avere prospettive nella logistica. Ma l’apertura o chiusura dell’area a caldo, dal punto di vista occupazionale, rimane il tema dei temi. Il problema, io, me lo pongo.
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