Sergio Romano: «Se i partiti esagerano Draghi dirà: o mi seguite o lascio»
TRIESTE Crede in Mario Draghi, ma ha più timori sulla politica italiana, «sempre divisa al momento delle scelte». Sergio Romano, diplomatico vicentino, una lunga carriera che l’ha visto all’ambasciata d’Italia a Londra, primo consigliere a Parigi e quindi ambasciatore alla Nato e a Mosca, quando ancora c’era l'Unione Sovietica, è convinto che la situazione sia migliorata da un governo all’altro, ma non dà per scontato che i partiti, così tanti partiti, condividano il percorso. Per questo Draghi «dovrà far pesare l’urgenza di superare le divisioni fino al punto di minacciare di andarsene». Su un altro fronte, quello sanitario, invita a guardare all’Europa dell’Est, ai vaccini russo e cinese cui stanno ricorrendo i Paesi balcanici.
Romano, siamo passati da una maggioranza risicata a un’ampia alleanza di governo. È un passo avanti?
«Certamente ci sono maggiori garanzie di obiettività e buon senso in una situazione in cui andranno prese decisioni delicate e difficili. Si tratta di spendere parecchi miliardi. Se non ci riusciamo, vanifichiamo la straordinaria iniziativa dell’Unione europea di affrontare unita la questione del risanamento e del ritorno alla crescita. Per l’Italia si tratta di arrivare all’appuntamento con scelte e tempi giusti per non danneggiare l’intera operazione. Per questo Bruxelles ci guarda attentamente».
Draghi può spendere i fondi del Recovery meglio di quanto avrebbe potuto fare Conte?
«Non penso che ci troviamo davanti un Draghi diverso da quello che ha salvato l’euro. Ha le doti necessarie per spenderli bene. Ma il problema è un altro. Spendere, specialmente quando il denaro è abbondante, significa fare delle scelte. Esattamente il momento in cui, storicamente, la politica italiana si divide».
Per quale motivo?
«Ci si dimentica dell’obiettivo nazionale, si guarda al proprio elettorato. Conosciamo bene questa piaga della nostra politica. Ma la conoscono anche in Europa, e sono quindi preoccupati».
Per questo è arrivato l’ex presidente della Bce?
«Una premessa. Noi continuiamo a pagare il fascismo. Se qualcuno a un certo punto sollecita l’esercizio del potere con maggiore trasparenza ed efficacia, ci sarà sempre qualcun altro che denuncia il rischio di un sistema autoritario. Quanto a Draghi, il premier ha un’arma. Far capire che o lo lasciano lavorare o se ne può anche andare. Quell’arma la deve usare».
Si aspetta dal governo i riflettori puntati sull’Est Europa?
«Se questo governo sarà veramente europeo, non potrà non prendere atto che ciò che hanno fatto la gran parte delle democrazie dell’Europa centro-orientale erano bastoni fra le ruote. Servirà la massima unità anche per combattere certi aspetti della politica polacca, ungherese, ceca. Nessuno può dare lezioni di europeismo a Draghi, è un tema che si può portare avanti».
Crede alla svolta europeista di Salvini?
«Ci credo perché credo all’egoismo. Salvini si è accorto di avere preso la strada sbagliata e sa che stava rischiando molto. Per questo la conversione è credibile».
Di Maio è stato confermato alla Farnesina. Ritiene che il ministro degli Esteri lo farà però sostanzialmente il premier?
«Maliziosamente me lo auguro».
Un giudizio sul governo uscente. È stato punito oltre le sue colpe, tenendo conto tra l’altro di un evento epocale come la pandemia?
«Di fronte a una scelta come quella di Draghi credo non ci sia nemmeno il diritto di lamentarsi».
Si vaccinerà?
«In settimana mia moglie ed io ci registriamo nella piattaforma della Regione Lombardia e iniziamo ad aspettare il turno».
Secondo lei che cosa dovrà fare il governo sul piano vaccinale? Sostituire il commissario Arcuri o sostenerlo con la Protezione civile?
«Non posso fare una valutazione professionale e mi rimetto anche su questo a Draghi. Naturalmente la scelta delle persone è importante. I criteri della competenza e della saggezza sono sempre i migliori».
Nei Balcani si ordina il vaccino russo e si usa quello cinese. Lo consiglierebbe anche all’Italia?
«Assolutamente sì. La Russia ha una riconosciuta tradizione medico-sanitaria, la Cina negli ultimi anni è andata a scuola. Ma anche in questo caso le scelte dovranno essere di livello europeo, non nazionale».
Che cos’è stata la pandemia?
«Una delle peggiori guerre di tutti i tempi, non solo quella di questo tempo. Abbiamo una storia di pesti. Mio padre, nel 1918, ha preso la spagnola, io spero di non imitarlo un secolo dopo con il Covid».
Il dietrofront sulla riapertura dei comprensori sciistici è un altro motivo di scontro con gli operatori. Non crede ci sia stata poca attenzione per le categorie economiche?
«Qualcuno potrebbe anche dire che, a volte, ce n’è stata troppa. Chi segue la strada della sicurezza deve anche avere il coraggio di dire di no».
Servirebbe un lockdown rigoroso anche nella seconda ondata?
«Probabilmente sì. Tutti abbiamo in famiglia qualcuno che legittimamente si lamenta, ma il timone va tenuto dritto».
Quale Paese ha gestito meglio l’emergenza?
«Attenderei la fine del campionato. Mi sarei forse atteso un comportamento meno esitante da chi ha una tradizione di obbedienza civile e sociale come la Germania». —
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