Serbia verso il voto il 21 giugno, Vučić re nei sondaggi. Tanti i condannati in lizza per un seggio
Washington ammonisce Belgrado: non permettere ai criminali di guerra di presentarsi alle elezioni
epa07471827 Serbian President Aleksandar Vucic speaks during a common statement that concluded the Cvadrilateral Meeting Romania - Bulgaria - Greece - Serbia at Snagov Palace, 25 Km north from Bucharest, Romania, 29 March 2019. Romania holds the rotating Presidency of the Council of the European Union for six months, starting on 01 January 2019. EPA/ROBERT GHEMENT
BELGRADO L’opera di messa sotto controllo dell’epidemia che rafforza – e di molto - i partiti al governo, l’opposizione sempre più disunita che non riesce a insidiare il sicuro vincitore. E poi ancora timori per lo stato di salute della locale democrazia, espressi da fonti autorevoli. Su tutto, le dispute per la partecipazione al voto di troppi personaggi controversi, tra cui ex criminali di guerra, tutti di indirizzo nazionalista.
È questo il complesso scenario che fa da sfondo alle elezioni in Serbia, previste per il 21 giugno: un appuntamento elettorale importantissimo nei Balcani, la prima consultazione dall’inizio della pandemia prevista nella regione. La corsa verso il voto in questi giorni sta entrando nel vivo, soprattutto a causa di accesissime polemiche su un outsider che ha annunciato la sua discesa in campo. Parliamo di Dragan Vasiljković, meglio conosciuto come “Capitano Dragan”, controversa figura nei Balcani, criminale di guerra con sentenza passata in giudicato in Croazia – ma ancora eroe per molti in Serbia – che ha deciso di riciclarsi come politico di punta dopo essere stato rilasciato ed espulso in Serbia lo scorso marzo.
Vasiljković, ora impegnato a raccogliere le firme per correre da indipendente per il Parlamento – ma ha già fatto capire di apprezzare molto il governo e il presidente, il conservatore Aleksandar Vučić - ha sollevato un polverone non solo perché rimane discutibile che un condannato corra alle elezioni, ma anche per le incaute dichiarazioni che ha rilasciate. A far inalberare in molti, a Belgrado, non tanto l'obiettivo di «difendere i serbi perseguitati» in tutta la regione, quanto la sua promessa di battersi affinché siano rilasciati dal carcere Milorad “Legija” Ulemek e Zvezdan Jovanović, condannati per l’assassinio del coraggioso premier europeista serbo Zoran Djindjić. I due non sono criminali, ma «eroi», ha proclamato Vasiljković. Parole gravi, seguite da discussioni e aspre critiche. Da segnalare, in particolare, quelle del Partito democratico (Ds) serbo, che hanno suggerito che dietro le uscite del “capitano” ci sarebbe lo stesso presidente Vučić. È molto importante che «i serbi capiscano che dietro questo ipocrita tentativo di riabilitare» dei criminali si celerebbe la «vera politica di Vučić», hanno detto i Ds. Sono affermazioni «immorali», ha fatto eco l’ex vicepresidente dell’esecutivo Djindjić, Zarko Korac.
Ma l’ex “kapetan” non è l’unico condannato per crimini di guerra a correre per il Parlamento. Con Vasiljković dovrebbe certamente riottenere un seggio il leader ultranazionalista Vojislav Šešelj, condannato per crimini legati alla pulizia etnica compiuti contro croati in Serbia nel 1992. Con Šešelj i suoi sodali, Vjerica Radeta e Petar Jojić, ricercati dalla giustizia internazionale perché sospettati di aver corrotto testimoni a favore di Šešelj. Secondo il portale Birn, poi, tra gli altri candidati controversi – con un passato quantomeno oscuro durante i conflitti degli Anni Novanta – ci sono anche Svetozar Andrić, oggi stretto collaboratore del politico di opposizione moderata Aleksandar Sapić, ma anche Momir Stojanović, candidato in una formazione nazionalista, anche lui con un passato controverso alle spalle.
Troppi, ha ammonito ieri anche Washington, con l’House Foreign Affairs Committee della Camera che ha richiamato la Serbia «a non permettere ai criminali di guerra di presentarsi alle elezioni». Critiche e polemiche si sono associate alle denunce degli europarlamentari di Renew Europe, che hanno ammonito Bruxelles annotando che in Serbia si va verso «elezioni lontane dall’essere democratiche». Ma si tratta di critiche che non sembrano intaccare il consenso di chi governa. Secondo i più recenti sondaggi, l’Sns di Vučić veleggia oggi a quasi il 58%, seguito dai Socialisti al governo (12,5%), mentre l’Alleanza per la Serbia (Szs), che dovrebbe boicottare le urne, non tocca l’8%. Lo Spas di Sapić è fermo invece al 4,3%, i Radicali al 3% come il Psg di Sergej Trifunović, che a differenza dell’SzS parteciperà al voto.
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