Serbia, un voto in bilico tra Ue e Russia
BELGRADO. Paese unico la Serbia, dove si va alle elezioni anticipate non perché è venuta meno una maggioranza in Parlamento, bensì per rafforzare ulteriormente quella esistente e che poteva contare su ben 200 deputati su un totale di 250. Il partito del premier Alexandar Vucic, 46 anni, politico dal passato ultranazionalista convertito a europeista convinto intende con il voto odierno sfruttare la sua grande popolarità e consolidare la posizione dominante del suo partito in vista di nuove sfide che richiederanno misure economiche ancora più impopolari. La riforma di un settore pubblico sovradimensionato e la ristrutturazione di grandi imprese statali fanno presagire una grande ondata di licenziamenti che potrebbero portare a proteste di massa. Vu›i„ giustifica l’anticipo delle elezioni con la «resistenza ai cambiamenti» tipica in Serbia, per cui vuole sottoporre la sua politica di riforme alla prova delle urne.
Se il risultato delle urne è scontato, altrettanto non si può dire su quale sarà l’atteggiamento della Serbia nei confronti dell’amico storico di Belgrado, ossia la Russia. Vucic, per ora, è stato abile a portare avanti la posizione del “Giano bifronte”: vogliamo aderire all’Unione europea ma ciò non può e non deve pregiudicare la nostra partnership privilegiata con Mosca. Partnership che solo negli ultimi tempi vede un incremento dell’interscambio economico e che viene letta in Serbia piuttosto con un’ottica ideologica. Da non dimenticare che dopo i bombardamenti della Nato del 1999 i serbi continuano a sentirsi vittime dell’Occidente, mentre Mosca vede nella Serbia l’ultimo “tampone” di fronte all’allargamento dell’Occidente (leggi Unione europea) ad Est. E nell’ultimo periodo sta crescendo proprio in Serbia l’influenza delle organizzazioni criminali e ultranazionaliste di destra russe. Il primo aggancio è stato, ovviamente, quello con gli ultras del calcio trovando terreno fertile dei tifosi della Stella Rossa di Belgrado dove nacque,lo ricordiamo, il mito del comandante Arkan.
Anche i risultati di un recente sondaggio dimostrano come la maggioranza dei serbi guardi alla Russia come il principale alleato, quella Russia che è immediatamente corsa al capezzale di Belgrado per rifornirla di armi anti missile dopo che la Croazia ha ottenuto dal Congresso Usa il via libera per l’acquisto di missili dagli Stati Uniti capaci di colpire fino alla capitale serba. Un riarmo, quello nel cuore dei Balcani, passato quasi inosservato ma che se sommato ai recenti attriti tra Zagabria e Belgrado sui temi europei con il veto della Croazia al proseguimento delle trattative della Serbia all’ingresso nell’Ue relativamente ai poteri giuridici sui crimini di guerra avocatisi dalla magistratura di Belgrado. È altresì vero che il premier Vu›i„ il quale giura sulla volontà di adesione all’Europa, potrebbe, e non sarebbe la prima volta, cambiare la sua opinione nella direzione del vento della maggioranza dell’opinione pubblica e cambiare la propria retorica da un giorno all’altro con molta nonchalance.
Il Partito progressista serbo (Sns) del primo ministro, Aleksandar Vucic, come detto, è il favorito assoluto nelle elezioni odierne, dove l’unica incognita rimane l’entità della vittoria. Il Paese è candidato all’adesione all’Unione europea e che prevede di completare il percorso nel 2020 quando si concluderà il mandato del nuovo governo. I sondaggi danno la coalizione di centro guidata dall Sns a oltre il 50% dei voti, doppiando quasi gli altri partiti, nonostante nei due anni da quando è al potere Vucic abbia intrapreso una politica di austerità, con tagli a pensioni e salari. Secondo i sondaggi, tra i 20 partiti e coalizioni che si presentano oggi, solo sei riusciranno a entrare in Parlamento. Ben al di sotto del Sns, con il 12% di preferenze si piazza il partito socialista serbo (Sps) dell’attuale ministro degli Esteri, Ivica Dacic, il quale ha con fierezza rimarcato le proprie radici nel partito fondato da Slobdan Miloševic. L’opposizione politica ugualmente europeista è debole e frammentata, e il suo principale esponente, l’ex partito di governo Ds, rischia di arrivare solo al 6% dei voti. Dopo di anni di assenza, i partiti di destra, russofili, come il partito radicale serbo (Srs) di Vojislav Šešelj, potrebbero ottenere fino all’8% delle preferenze.
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