Serbia. La vedova di Arkan nei guai per traffico d'armi e appropriazione indebita
Svetlana Raznatovic avrebbe sottratto fondi per milioni di euro alla squadra di calcio dell'Obilic di cui era presidentessa. In casa aveva 11 pistole
BELGRADO Vedova inconsolabile di Arkan «la Tigre», il più crudele paramilitare serbo. Regina del «turbofolk», la musica prediletta dai nazionalisti di Belgrado, gradita pure ai «nemici» bosniaci e croati. E ora anche imputata per possesso illegale di armi e per aver sottratto fondi alla squadra di calcio dell'Obilic di Belgrado, di cui era diventata presidentessa nel 2000, dopo l'omicidio del marito. Per la popstar Svetlana Raznatovic, in arte «Ceca», si accendono le luci del tribunale e si spengono quelle dei palcoscenici. La procace cantante è stata incriminata dalla Procura di Belgrado dopo otto anni di indagini.
Le accuse: possesso senza licenza di 11 pistole nella sua villa-fortezza a due passi dal «Marakana», l'imponente stadio della Stella Rossa. E alienazione di 2 milioni di euro e di 3,5 milioni di dollari a danno delle casse dell'Obilic. La cantante, sua sorella e due ex dirigenti - tra cui Dragisa Binic, ala della «Crvena Zvezda» campione d'Europa nel 1991 - avrebbero intascato fino al 2003 laute somme dalla vendita di 10 calciatori a squadre europee. Nel mirino dei pm anche il trasferimento di Nikola Lazetic, ex Como, Chievo, Siena, Livorno e Torino. L'Obilic, da neopromossa, divenne campione di Jugoslavia nella stagione 1998-99, facendo lievitare le valutazioni dei suoi giocatori. Che non erano proprio dei campioni, perché la squadra trionfava anche grazie alle intimidazioni di Arkan agli avversari.
«Il calcio è lo specchio della società, il mondo del pallone al tempo non poteva essere migliore di quello economico o politico. I criminali hanno usato il calcio per arricchirsi», afferma Danilo Mitrovic, giornalista sportivo montenegrino. «Avevo 17 anni ed ero a una partita tra l'Obilic e la mia squadra del cuore, il Buducnost. Credevamo in una vittoria - ricorda Mitrovic - ma alla partita furono spedite a giocare le nostre riserve. I supporter compresero che il match era quantomeno sospetto. Perdemmo 2 a 0». Un sistema usato spesso. Oggi la sconfitta, giudiziaria, pende sulla testa della cantante che professa la sua innocenza, ma rischia 12 anni di galera. Già nel 2003 «era stata accusata di cospirazione nell'omicidio del premier serbo Zoran Djindjic. Chi le mise le manette era il padre di un'altra popstar serba, Karleusa. C'era il sospetto che Legija, uno dei killer, avesse trovato rifugio proprio da Ceca per crearsi un alibi. Ma poi le accuse caddero», spiega il professor Eric Gordy, esperto di Balcani. Le cose questa volta dovrebbero andare diversamente. «Nessuna amnistia alle cosiddette icone nazionali», ha promesso Snezana Malovic, ministro della Giustizia. E più di qualche analista pensa che dietro la «calciopoli» serba si nasconda un'inchiesta più importante. «Di cosa si parla oggi in Serbia? Della riapertura delle indagini sull'assassinio di Djindjic su cui potrebbe essere sentito anche l'ex premier Kostunica. E se Seselj dovesse essere rilasciato dal Tpi e tornare a Belgrado, potrebbe essere anch'egli coinvolto nel caso», spiega Gordy.
«Forse i giudici vogliono intimidire Ceca e farla parlare su Djindjic», suggerisce il professore. E raccogliere così preziose informazioni sugli ignoti mandanti politici del delitto. Se la strategia è questa, potrebbe funzionare. Non c'è più l'amato Arkan a proteggerla, anche commercialmente. Negli anni '90 era impossibile trovare contraffazioni dei suoi cd in giro per Belgrado. Dai dischi di platino ai tribunali e, forse, al carcere. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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