Serbia, il caro-carburante riporta i contrabbandieri sul Danubio

Sestuplicate le confische di combustibili giunti illegalmente dai Paesi vicini in Serbia: danni per 100 milioni allo Stato

BELGRADO Un grande fiume che collega nazioni e capitali lontane. Ma che viene usato anche come “autostrada” di commerci illegali, di nuovo fiorenti. Quasi come nei cupi Anni Novanta, quelli di guerre, iperinflazione ed embargo. È il Danubio, via d’acqua che – in particolare nella parte serba – sta assistendo a un rifiorire del contrabbando, in particolare quello di gasolio e derivati importati illegalmente in Serbia dai Paesi vicini, dalla Croazia e dalla Romania, ma anche dalla Bosnia – in quest’ultimo caso più spesso via terra, su cisterne che sulla carta dovrebbero trasportare materiali ben diversi, come impregnante per legno.

«Contrabbando di nafta su un cargo dalla Croazia, 575 tonnellate» di diesel non dichiarate, altre «dieci tonnellate di gasolio sequestrate» in una chiatta sul Danubio, «8.400 litri rinvenuti su un barcone» vicino a Belgrado: sono alcune delle notizie comparse sui media locali in questi mesi. Ma già l’anno scorso si era parlato delle «notti dei contrabbandieri» che nel nord della Serbia, nell’area di Apatin, con veloci imbarcazioni trasportavano nafta e altri derivati del petrolio dalla Croazia in Serbia, con guadagni milionari.

Non sarebbero casi isolati. I pezzi del puzzle sono stati collocati al loro posto in questi giorni dalle autorità di Belgrado, che hanno confermato la gravità del problema. A farlo è stata uno degli alti esponenti dell’Agenzia per le dogane, Sonja Lazarević, che ha denunciato la crescita - di ben sei volte rispetto all’anno scorso - del volume di confische di combustibili importati senza permessi: fenomeno che ha di fatto soppiantato il contrabbando di sigarette, oggi meno redditizio. La nafta illegale in Serbia arriva soprattutto via fiume, ma anche via terra, per essere poi rivenduta a prezzi inferiori a quelli di mercato, ha specificato Lazarević al quotidiano Politika, suggerendo che tutto deriva dalle altissime accise e dal prezzo più alto dei carburanti in Serbia in confronto ai Paesi confinanti.

Nell’attesa che i prezzi scendano, rendendo il business meno florido, le autorità cercano di contrastare il fenomeno. E così se nel 2017 erano state solo 30 le tonnellate di gasolio confiscate dalla polizia di frontiera, quest’anno la quantità è salita a quasi 200 nei primi otto mesi dell’anno. Si tratta però della punta di un iceberg, giacché non si sa quante siano quelle che sono sfuggite ai controlli, ardui soprattutto sul Danubio – 588 chilometri nel tratto serbo – ma anche su Sava e Tibisco, vie d’acqua su cui il combustibile arriva da oltre i confini nazionali. A gestire il traffico non sono pesci piccoli, ma criminali ben organizzati che arrecano «danni milionari al budget dello Stato» per le mancate accise, ha detto Lazarević. Si fa una stima di 100 milioni di euro all’anno, al ribasso. E non sono pochi per un Paese che non naviga nell’oro. —


 

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