Serbia e Kosovo, alta tensione soldati e tank sul lago conteso
Forze speciali di Priština per la visita del presidente Thaci a Gazivode. Conferme e smentite, Belgrado allerta l’esercito. Bruxelles esorta alla calma
BELGRADO Un’esplosione improvvisa della tensione, nervi che saltano, addirittura l’esercito serbo in stato di massima allerta. E soprattutto ombre lunghissime sul dialogo tra Belgrado e Pristina, messo a rischio da episodi di provocazione e pericolosi teatrini, ormai sempre più frequenti. Episodi come quello che è stato registrato ieri al lago di Gazivode, il cui specchio per due terzi si trova sul territorio del Kosovo – ma nel nord a maggioranza serba, dove le autorità kosovare non hanno un effettivo controllo del territorio – il restante terzo in Serbia: bacino artificiale ambito da Belgrado, strategico per Pristina per l’approvvigionamento idrico e di energia elettrica.
A Gazivode l’allarme rosso è scattato poco dopo mezzogiorno, quando nell’area del lago sono stati avvistati i Rosu, le temute forze speciali kosovare. La notizia ha provocato paura tra i serbi del nord. E un terremoto a Belgrado, dove si è temuta una “occupazione” del lago da parte di Pristina. Un allarme ingiustificato, ma non per questo la vicenda ha avuto effetti meno destabilizzanti.
È emerso che Gazivode è stata scelta dal presidente kosovaro Hashim Thaci come meta di una toccata e fuga, con scorta armata, per «mandare un messaggio a tutti i cittadini» per «un nuovo Kosovo europeo, nella Nato e nella Ue». «Io servo tutti», ha detto Thaci, assicurando di aver persino «bevuto un caffè» con serbi della zona, dopo un giro in gommone.
Ma Gazivode non è una scelta causale: vi si era recato anche il presidente serbo Aleksandar Vučić, tre settimane fa, una visita prima vietata da Pristina e poi permessa in extremis. E l’ipotesi della prova di forza di Thaci per “marcare il territorio” è reale: quantomeno è stata una grave provocazione, una invasione su un territorio off-limits, è stata la lettura della crisi a Belgrado.
Che la situazione sia seria è stato confermato dalla decisione di mettere in stato di allerta la polizia e le forze armate. La motivazione di una mossa che alza l’asticella del rischio, «l’attacco di forze speciali kosovare contro serbi nel nord del Kosovo», hanno riportato i media serbi citando il ministro degli Interni Stefanović: un riferimento al presunto fermo di serbi, smentito seccamente da Pristina. E confutato in serata anche dalla missione Nato in Kosovo, citata dai media di Pristina, che ha aggiunto pure di non avere informazioni sulla «presenza dei Rosu» nel nord del Kosovo.
La Nato era entrata nel mirino di Belgrado già nel pomeriggio, con Vučić che ha protestato con il segretario generale Stoltenberg per il mancato intervento della Kfor. Vučić, in serata, in diretta Tv, ha parlato poi alla nazione, accusando la comunità internazionale di chiudere gli occhi sulle mosse del Kosovo, che avrebbe tentato di provocare la Serbia per poi «demonizzarla». Vučić ha poi smentito la Kfor, parlando di 110-130 membri delle forze speciali di polizia di Pristina, tutti armati, in azione al seguito di Thaci; e di «brutali maltrattamenti» a Gazivode, oltre che di aperta «violazione» degli accordi di Bruxelles. «Per la terza volta negli ultimi mesi Pristina ha messa a rischio la pace», ha rincarato.
In precedenza, a reagire era stata anche l’Ue, che aveva chiesto a tutte le parti di comportarsi «con calma e moderazione». Ma sono troppi i passi falsi degli ultimi mesi, lungo l’asse Belgrado-Pristina, per sperare veramente che gli appelli abbiano qualche effetto. E il dialogo un futuro. —
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