Sequestra e minaccia la coinquilina: verso il processo

Il pm sta per chiedere il rinvio a giudizio per Elena Giraldi, che tenne in ostaggio la sua vittima
Un'immagine d'archivio di via San Michele
Un'immagine d'archivio di via San Michele

Ha chiuso a chiave la porta di casa, in via San Michele, ha afferrato un pesante vaso di fiori in ceramica e ha ordinato alla coinquilina, A.M., di non muoversi: altrimenti quel vaso le sarebbe finito addosso, sulla testa. E quando, dopo un’ora e mezza, sono arrivati i poliziotti - allertati poco prima da qualcuno che aveva iniziato a sospettare sentendo gridare e chiedere aiuto - il vaso contro A.M. lei l’ha effettivamente lanciato. Solo che uno degli agenti è riuscito fortunatamente a intercettarlo col braccio, ferendoselo. A quel punto, mentre due uomini in divisa tentavano di bloccarla, s’è messa a divincolarsi a calci e pugni, cercando di morderli e graffiarli.

Per quest’episodio del maggio scorso per la 48enne Elena Giraldi - che quando ne aveva 26, nel ’93, uccise a coltellate la rivale in amore nel vano scale di un palazzo di via Fornace - il pm Maddalena Chergia si appresta a chiedere il rinvio a giudizio con le accuse di sequestro di persona, lesioni aggravate, violenza e resistenza a pubblico ufficiale. L’avviso di conclusione delle indagini a suo carico, il cosiddetto “415 bis”, è stato inoltrato agli avvocati d’ufficio Raffaele Leo e Marta Silano.

Il fascicolo del pm riguarda appunto una discussione tra due donne, che risale all’altra primavera, degenerata nell’alveo del sequestro di persona: Giraldi, a un certo punto, aveva come detto chiuso la porta e messo all’angolo la coinquilina. “Stai ferma o ti butto in testa il vaso”. Una costrizione fisica e psicologica che si era protratta per circa un’ora e mezza e che per A.M. dev’essereparsa un’eternità. All’arrivo della pattuglia della Squadra volante Giraldi aveva reagito lanciando il vaso, incocciato nel braccio di uno dei due agenti intervenuti sul posto, eppoi aveva tentato disperatamente di divincolarsi. Calci, pugni, morsi, graffi. Ora la donna rischia molto concretamente di finire a processo, di tornare a fare i conti con la giustizia.

Nel ’93, come si diceva, aveva dovuto farlo, addirittura nel ruolo di assassina. In cura si era detto allora per disturbi mentali, Giraldi non era riuscita ad accettare la fine di un breve flirt con uno studente universitario, ed era venuta a conoscenza che lui intanto aveva già trovato un’altra compagna. Una mattina era andata in un negozio, aveva comprato un coltello con una lama di 15 centimetri, se l’era messo nella borsetta e al pomeriggio si era decisa ad affrontare quella che vedeva come una rivale, colei che le aveva soffiato il ragazzo.

Aveva suonato a casa di lei, in via Fornace, si erano incontrate al piano terra, davanti all’ascensore. In breve però la discussione si trasformò in aggressione a mano armata. Annamaria Vicig, 28 anni, cadde sotto la violenza di dodici coltellate. Ebbe solo il tempo di chiedere aiuto al vicino del piano terra, che fu ferito a sua volta. Morì poco dopo all’ospedale, nonostante l’arrivo celere del 118. Giraldi invece uscì da quel portone di via Fornace, prese un taxi e si presentò a casa dell’ex fidanzato. “Ho litigato con Annamaria”.

Il giovane, ignaro di cosa fosse successo, la vide ferita a un polso, l’accompagnò al Pronto soccorso di Cattinara. E lì assistette, incredulo, alla polizia piombata sul posto per arrestarla. Omicidio volontario.

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