Se le sedie sono distanziate in ufficio non c’è l’obbligo di indossare la mascherina

La precisazione del prefetto Valenti che ammette: «In alcuni passaggi il decreto non è chiaro» Maglie larghe per chi fa attività sportiva: nessun vincolo sui campi di calcetto, calcio e tennis 
Sedie distanziate al concorso per tre posti di funzionario amministrativo contabile a tempo indeterminato proposto dal Comune di Gorizia ad aprile 2020
Sedie distanziate al concorso per tre posti di funzionario amministrativo contabile a tempo indeterminato proposto dal Comune di Gorizia ad aprile 2020

TRIESTE «In qualche passaggio non c’è molta chiarezza». Il prefetto di Trieste Valerio Valenti si trova una volta ancora a interpretare un testo della burocrazia romana in tempi di pandemia. E osserva, pure lui, che il Dpcm di ottobre che reintroduce l’obbligo di mascherina anche all’aperto non aiuta i cittadini a comprendere facilmente le nuove regole, conseguenti al rialzo dei numeri del contagio.


In particolare, ieri, non sono mancate le tesi opposte nei posti di lavoro. Perché la disposizione governativa dell’obbligatorietà dell’utilizzo delle protezioni delle vie respiratorie, oltre che all’aperto, anche «nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private» ha fatto ipotizzare l’imposizione generalizzata della mascherina in uffici e fabbriche. Ma non è così, precisa il prefetto. Perché per garantire «in modo continuativo la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi», come si legge nel Dpcm, non è necessario essere soli in una stanza. Sul lavoro, esattamente come prima giacché il decreto rimanda ai protocolli già in vigore, le mascherine vanno indossate quando non sia possibile mantenere la distanza di almeno un metro dalle altre persone. Per esempio quando ci si avvicina al collega per recarsi in bagno, alla macchinetta del caffè, a fumare.

«Il concetto del distanziamento è quello introdotto durante il lockdown», conferma Valenti. La stessa tesi, ieri su La Stampa, del consigliere del ministero della Salute Walter Ricciardi: «La mascherina al chiuso bisogna indossarla sempre quando non si può rispettare il metro di distanza, in fabbrica come a un ricevimento in villa». Il decreto, di fatto, mette sullo stesso piano le situazioni all’aperto e quelle al chiuso: pure in strada, dunque, la mascherina, che va comunque portata sempre con sé, andrà utilizzata ogni volta che non ci si riesca ad isolare. Nei centri abitati, evidentemente, ci si dovrà coprire sempre per evitare il rischio di sanzioni dai 400 ai 1.000 euro.

Anche per bar e ristoranti le regole non cambiano: si entra con la mascherina e la si può togliere quando si è al tavolo o durante la consumazione al banco. Mentre a scuola, essendo validi i protocolli precedenti, non c’è l’obbligo per gli studenti seduti in classe e distanziati. Cinema e teatri? Il decreto non ne parla (superato il limite dei 200 posti con norma regionale, si rimane pertanto alla capienza adeguata alle dimensioni della sala). Così come non parla di automobili, ma è verosimile che l’abitacolo vada considerato luogo chiuso e che la mascherina sia d’obbligo in presenza di persone non conviventi. Le eccezioni del provvedimento riguardano in ogni caso gli under 6 e i soggetti con patologie o disabilità «incompatibili con l’uso della mascherina, nonché coloro che per interagire con i predetti versino nella stessa incompatibilità».

Capitolo a parte quello dell’attività sportiva, in cui non mancano le contraddizioni rispetto agli obiettivi della stretta. Il Dpcm esenta tutti gli sportivi dalla mascherina, vale a dire non solo chi corre, va in bicicletta o gioca a tennis, ma anche chi si allena sul campo di calcio e chi passa la serata al calcetto. Con inevitabili contatti con l’avversario, ma tant'è. «A calcio, evidentemente, non si può giocare con la mascherina», riassume pertanto il prefetto rimandando ai protocolli in vigore nelle diverse federazioni sportive. —
 

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