Scritte e bandiere sul palazzo Trieste Libera sotto indagine
Movimento Trieste Libera, altri guai. Questa volta di tipo ambientale, o meglio monumentale per colpa di striscioni e bandiere.
Il nome dell’ex presidente, ora vice, degli indipendentisti, Stefano Ferluga è stato iscritto nel registro degli indagati della Procura. Il pm Antonio Miggiani lo accusa di aver violato, in qualità di conduttore dell’immobile di piazza della Borsa dove ha sede il Mtl, il decreto legge 42 del 2004 relativo agli immobili vincolati dalla Soprintendenza. In caso di condanna, è prevista la pena dell’arresto da sei mesi a un anno e con l’ammenda da 775 a 38mila 700 euro.
Nel mirino della Procura sono finite le vetrofanie a caratteri cubitali di colore rosso applicate sui vetri della terrazza vetrata di Casa Bartoli, il pennone con la bandiera alabardata e uno striscione con la scritta “Welcome to the Free Territory of Trieste”. Tutti “oggetti” ritenuti appunto fuori legge, perché apposti su un edificio sottoposto a stretto vincolo ambientale da un provvedimento del 2006.
I primi guai ambientali erano emersi all’inizio dello scorso luglio, quando l’ex direttore regionale dei Beni culturali Giangiacomo Martines aveva scritto al soprintendente Maria Giulia Picchione annotando di avere ricevuto segnalazioni (tra cui un esposto dell’ex deputato Roberto Menia) sulle «grandi scritte riferentesi a un movimento di opinione» apparse appunto sul palazzetto firmato da Max Fabiani in piazza della Borsa. Picchione un paio di settimane dopo aveva inviato una nota a Martines in cui comunicava formalmente l’assenza di «atti autorizzativi rilasciati». La soprintendente si era poi rivolta al comando della Polizia locale per verificare «se la situazione di fatto» rispondesse «alla normativa vigente». Dopo i primi accertamenti Picchione aveva aperto un procedimento amministrativo scattato in occasione del sopralluogo da parte dei vigili del nucleo di polizia edilizia, richiesto dalla stessa Picchione appunto attraverso il Comune.
Il caso sembrava chiuso. Ma il 23 agosto è improvvisamente comparso uno striscione con scritto in lingua italiana, tedesca e slovena «Il nostro porto è il vostro porto». Il riferimento era alla manifestazione del Movimento Trieste Libera che era stata programmata nei giorni seguenti. Anche questo striscione è stato “immortalato” dalla macchina fotografica degli agenti della polizia locale che poi hanno trasmesso il verbale con relative foto al pm Miggiani.
Infine il terzo episodio, quello dello scorso settembre: l’apposizione di un altro stendardo con la scritta “Welcome to the Free territory of Trieste”. Striscione che a molti turisti, soprattutto stranieri, aveva fatto pensare a un ufficio di accoglienza.
Ieri abbiamo cercato di contattare in più occasioni il vicepresidente Stefano Ferluga. Ma il suo telefono è squillato sempre a vuoto. In merito alla vicenda lo stesso Ferluga ha postato tuttavia uno scritto su Facebook. «Anche qui, due pesi e due misure... - vi si legge - Le bandiere e le scritte sulla veranda della nostra sede, secondo la soprintendente per i beni architettonici e paesaggistici Picchione, deturpavano l’edificio e l’ambiente circostante e le aste, non autorizzate perché non a norma di legge, potevano danneggiare le esili strutture di metallo... Bene, ma le bandiere tricolori appese sulla storica fontana di piazza della Borsa dai difensori della Patria italiana nel periodo successivo? Beh certo quelle sì che erano accettabili. Comunque non ci facciamo nessun problema a riguardo, le bandiere erano state tolte solo per problematiche relative al sostentamento della struttura esclusivamente in condizioni di bora e in ogni caso la domanda sorge spontanea: come hanno fatto a estendere qui a Trieste le norme italiane sui vincoli paesaggistici?»
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