Scoppia la guerra ai lucchetti dell’amore

Roma copia Venezia e ripulisce ponti e piazze. Il “papà” Moccia insorge: «Sono una tradizione innocua. E attirano turisti»

ROMA. L'amore può essere eterno, la lucchettomania nata e cresciuta dal libro di Federico Moccia e dall'omonimo film “Ho voglia di te”, no. Lo ha deciso il Comune di Roma che ha liberato il Ponte Sant'Angelo dall'invasione della “ferraglia” (come l'ha definita l'assessore all'Ambiente Marco Visconti) che ormai rischiava di deturpare uno dei più prestigiosi e antichi monumenti della Capitale. È solo la prima azione di una vera e propria guerra, che proseguirà nelle altre piazze, ville storiche e ponti monumentali, ormai soffocati dal metallo delle migliaia di emuli di Step e Gin, i due ragazzi che promettono di non lasciarsi mai scrivendo le loro iniziali su un lucchetto, chiudendolo e lanciando le chiavi nel fiume sottostante.

Dopo Ponte Sant'Angelo (appesantito da 1.500 lucchetti), sarà la volta di Ponte Umberto I, Villa Borghese (nella quale le promesse di ferro sono state serrate vicino al laghetto) e Fontana di Trevi, anch'essa presa d'assalto dai ragazzi innamorati. Resistono, per ora, i lucchetti di Ponte Milvio, luogo simbolo poiché proprio lì è stata girata la famosa scena tratta dal libro di Moccia, anche se spariranno le scritte dai muretti, collezione di graffiti romantici e giuramenti di grandi amori.

Plaude all'iniziativa il sottosegretario ai Beni culturali Francesco Giro, indignato da «un simile degrado». Mentre protesta Federico Moccia, inventore della passione incatenata, subodorando azioni di forza anche sul ponte luogo-cult del suo libro.

«I lucchetti di Ponte Milvio – dice – sono ormai una tradizione, come le monetine di Fontana di Trevi. Richiamano turisti da tutto il mondo e non danno fastidio a nessuno. Sono molto meglio di una scritta, non sono un rito ma un gesto simpatico, che lega e vincola chi si vuole bene». Sarà, eppure lo stesso Moccia ha lanciato su Internet un sito (al quale se ne sono aggiunti molti altri) che simula una passeggiata sul ponte con tanto di dichiarazione d'amore e promessa metallica virtuale, forse per evitare che altri lampioni, come è accaduto per quello di Ponte Milvio nel 2007, cadessero nel Tevere causa il peso dei lucchetti, moltiplicati fino all'inverosimile.

Roma arriva dopo Venezia, prima città a dire basta all'invasione delle promesse chiuse a chiave, ormai arrugginite, sul Ponte di Rialto. I lucchetti resistono però a Napoli, inchiavardati a Castel dell'Ovo, a Firenze su Ponte Vecchio, perfino alle Cinque Terre.

E anche, pur in misura assai limitata, a Trieste, sul Ponterosso. Un fenomeno che per ora non sembra disturbare la grazia della città e al quale il sindaco Roberto Cosolini, interpellato su una eventuale rimozione per ora non pensa. «Ho cose assai più importanti di cui occuparmi» afferma deciso. «Troveremo uno spazio per lucchetti dell'amore – rassicura invece il presidente della Commissione cultura del IV Municipio di Roma Giuseppe Sorrenti –: state tranquilli, Stranamore si trasferirà a Montesacro (quartiere semiperiferico, ndr)».

Sempre che la popolarità di dichiararsi legandosi con una sorta di ceppo resista. A Ponte Milvio, dove un venditore ambulante vende lucchetti a prezzi dai 3 ai 10 euro, sembra di percepire che l'onda d’incatenare una promessa romantica sia in declino: «Oggi il lucchetto non si usa più, vanno forte invece fedine, mezzi cuori e scritte sotto casa». «Non ci credo, credo solo nel destino» sono i commenti più frequenti. Insomma, pare proprio che l'amore imprigionato in una serratura, trasformato in rito di massa e appesantito dalla banalità di una cosa uguale a tante altre, sia diventato “antico”.

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