Scoppia il “caso bermuda”: il Palazzo si divide sul look
TRIESTE. L’aggettivo “decoroso”, per un qualunque vocabolario, è ciò che manifesta decoro, lustro e prestigio. Che è “conforme alle circostanze”, alle esigenze, alla posizione sociale. Un pantalone lungo, nel sentire comune, conferisce decoro. Un paio di shorts no. Forse dipende da chi l’indossa, si potrebbe subito obiettare. È sul “conforme alle circostanze”, a leggere il dizionario, che si aprirebbe un curioso dibattito: una seduta d’aula in un Palazzo istituzionale richiede una mise adeguata, certamente. Ma un visitatore, venuto da fuori magari con 38 gradi all’ombra per incontrare chicchessia, può ritenere “conforme alle circostanze” le bermuda che indossa.
Il Consiglio regionale è a un bivio: sopra o sotto il ginocchio? La questione potrebbe entrare presto a pieno titolo nelle stanze della politica perché il consigliere delle battaglie impossibili, Bruno Marini, è pronto a partire alla carica per sollecitare una revisione del “dress code” che consente l’accesso nella sede di piazza Oberdan. Dopo i biglietti gratis per gli esuli istriani e i fondi alla chiesa di Sant’Antonio, non rinunciando alla sinora non riuscita operazione per foraggiare gli spogliatoi del San Luigi calcio, il forzista è pronto al braccio di ferro con i colleghi di maggioranza e opposizione. Tanto più che il Consiglio è privo di una dettame vero e proprio.
C’è un regolamento, varato a fine 2011, ma si limita a raccomandare, all’articolo 7, «che per essere ammessi ai locali del Consiglio è necessario avere un abbigliamento decoroso». In mancanza di ulteriori precisazioni, gli addetti alla vigilanza si affidando al buon senso. Criterio discrezionale, secondo cui a un uomo che si presenta con i pantaloni corti non è consentito entrare. Sono numerosi i casi di visitatori esterni tenuti cordialmente alla porta: una cinquantina quest’estate, quasi uno al giorno. È capitato proprio a Marini pochi giorni fa: «Aspettavo una persona nel mio ufficio, ma gli uscieri non hanno voluto farla passare perché non aveva le braghe lunghe tanto che ho dovuto farla salire in ascensore e venire e prenderla io sotto la mia responsabilità. Imbarazzante, anche perché questa persona era vestita in modo decoroso visto che i calzoni erano sotto il ginocchio».
Il tema sarà sottoposto all’esame dell’Ufficio di presidenza, promette il forzista. E già si immaginano audizioni con esteti, semiologi e linguisti a stabilire una volta per tutte i confini del decoro. Sì perché se a Palazzo i bermuda degli uomini non sono permessi, lo stesso non vale per gli shorts delle donne. O le minigonne che sono ampiamente ammesse. Una discriminazione a sfavore del sesso maschile. Ecco, si scatenerebbero le Commissioni pari opportunità. Bermuda no, bermuda sì. Lo stesso vale per ciabatte e simili. Infradito no, ma sandali sì, a sentire la vigilanza. «Sul decoro la questione è soggetta a valutazioni opinabili», ammette il segretario generale Augusto Viola. «Appartiene alla sensibilità di ciascuno».
Marini vuole andar fino in fondo: «Andrebbe quindi precisato cosa significa decoroso – insiste il forzista – capisco che se qualcuno si presenta in mutande da bagno non va bene. Ma con calzoni oltre il ginocchio non mi pare ci debbano essere problemi. Io non mi rivolgo agli uscieri che fanno bene il loro lavoro, ma a chi non scrive regole precise e che non permette di interpretarle in modo intelligente. Inoltre capisco quando ci sono le sedute d’aula, in cui è richiesta una certa presenza, ma se uno viene solo per un appuntamento non vedo perché debba essere tenuto fuori».
La questione è già all’orecchio dei vertici. Il vicepresidente del Consiglio regionale, Igor Gabrovec, non intende sottovalutare la proposta del collega: «Sono certo che gli addetti alla sicurezza fanno il loro dovere con serietà e dedizione ma si tratta pur sempre di sedi istituzionali. Faremo una verifica e, qualora si rivelasse necessario, rivedremo o correggeremo il regolamento per renderlo meno discrezionale possibile».
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