Scoperto a Punta Sdobba il relitto di un Mas di Rizzo

In un basso fondale i resti di una motosilurante della stessa serie di quella impiegata dall’eroe della prima guerra nella Beffa di Buccari del 1918
Il Mas 95 che come il 96, era della stessa serie cui appartiene il relitto scoperto a Punta Sdobba.
Il Mas 95 che come il 96, era della stessa serie cui appartiene il relitto scoperto a Punta Sdobba.

Scoperto a Punta Sdobba il relitto di un Mas di Rizzo

GRADO C’è il relitto di un Mas della prima guerra mondiale sul fondo del mare di Punta Sdobba, alle foci dell’Isonzo. Si tratta di un’unità da guerra della stessa classe del Mas 96 passato alla storia per la Beffa di Buccari, l’incursione effettuata con tali motoscafi da Luigi Rizzo, Gabriele D’Annunzio e Costanzo Ciano la notte tra il 10 e l’11 febbraio 1918 nella baia della costa istriana. Il Mas 96 è oggi conservato al Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera, e proprio il raffronto tra alcuni elementi rilevati e recuperati dal relitto sul fondo del mare e l’esemplare del reparto conservato nel complesso monumentale sulla sponda del Lago di Garda ha permesso alla Soprintendenza Archeologia Belle arti e Paesaggio del Fvg di identificare i resti sommersi come appartenenti a un esemplare della flottiglia comandata da Luigi Rizzo, l’affondatore delle corazzate Wien e Santo Stefano. Rizzo era stato assegnato alla II.a Mas dislocata a Grado dal 1916 all’ottobre del 1917, quando l’Isola del Sole venne sgombrata dalle truppe italiane dopo la disfatta di Caporetto, e il contingente trasferito a Venezia.

Il Mas 95 che come il 96, era della stessa serie cui appartiene il relitto scoperto a Punta Sdobba.
Il Mas 95 che come il 96, era della stessa serie cui appartiene il relitto scoperto a Punta Sdobba.


Il relitto del Mas, che si trova in un basso fondale in una zona per altro frequentatissima nei weekend dai diportisti, è stato individuato da Francesco Regolin, appassionato di pesca, concessionario di un casone a Punta Sdobba (suo nonno era il guardiano del faro alle foci del fiume).

«Sono uscito in barca a pesca in una di quelle rare giornate dell’anno in cui l’acqua è limpidissima - racconta Regolin - e a un tratto ho visto chiaramente la sagoma del relitto».



«Avevo spesso sentito parlare dagli anziani di Punta Sdobba dell’esistenza di un Mas affondato, anzi più di uno, cui erano stati tolti i motori - continua Regolin - ma nonostante frequenti molto quel tratto di mare per la scarsa visibilità non ero mai riuscito a vederlo». Una volta riconosciuto il relitto Regolin ha segnato il punto, si è tuffato in apnea e ha presto capito di avere di fronte proprio i resti di un motoscafo armato silurante. Regolin ha subito informato la Soprintendenza, che ha inviato sul posto l’archeologo subacqueo Francesco Dossola il quale, coadiuvato dal team della Frontiera Sommersa con il sommozzatore professionista Stefano Caressa per le riprese foto video, ha effettuato una prima ricognizione sui resti sommersi. Dopo le misurazioni dello scafo sono stati recuperati alcuni reperti sparsi, tra cui la redancia, il robusto anello di traino posto a prua tipico di questa classe di Mas, che spesso, nei diversi impieghi, raggiungevano la zona d’operazioni al traino di altre unità come i cacciatorpediniere. Tutti gli elementi raccolti, scrive Dossola nella relazione tecnica, dalle dimensioni di ciò che rimane dello scafo, all’esame delle ordinate e delle chiodature, alla presenza di ferroguide, «portano a propendere che il relitto individuato appartenga effettivamente a un Mas italiano della prima guerra mondiale, probabilmente della Serie 91 o della similare Serie 218».

«Questo relitto - commenta la Soprintendente Abap del Fvg, Simonetta Bonomi - è un tassello in più che, assieme ad altri, una volta studiati e messi insieme possono aggiungere nuove pagine di storia per un territorio, come Grado e la sua laguna, già tanto ricco».

Durante il primo conflitto mondiale Punta Sdobba era il limite orientale del fronte marittimo italiano, dopo il colpo di mano, la notte del 24 maggio 1915, da parte del cacciatorpediniere Zeffiro, che aveva portato il tricolore a Porto Buso e Grado. Difeso da pontoni armati che sparavano fino ad Aurisina e oltre, porta d’ingresso al fitto reticolo di canali navigabili tra l’Isonzo e il Po utilizzati dalla regia Marina per consentire i trasporti al riparo dai colpi del nemico, Punta Sdobba era continuo bersaglio delle artiglierie austroungariche dalle alture del Monte Hermada. In quel tratto di mare i Mas della Seconda flottiglia al comando di Luigi Rizzo effettuavano missioni di scorta e protezione alle unità impegnate soprattutto nel recupero dei natanti che finivano in secca o erano danneggiati dai cannoni dell’Hermada. Nelle concitate giornate d’ottobre 1917, dopo Caporetto, Grado fu evacuata in tutta fretta a dispetto delle pessime condizioni atmosferiche, e tutto ciò che non poteva essere trasportato o trainato lungo i canali della laguna - dalle artiglierie ad alcuni ponti armati - venne distrutto o autoaffondato.

«Dettagli del relitto ritrovato - interviene Dossola - fanno ritenere che appartenga al periodo in cui la IIª flottiglia Mas era già di stanza a Venezia, forse una silurante partita in missione verso l’Isonzo che non rientrò alla base». «Stando ai repertori - commenta l’esperto di storia navale Nereo Castelli dell’Associazione Aldebaran - non risulta però l’affondamento di un Mas in quella zona, e potrebbe anche trattarsi di un’unità radiata nel dopoguerra e adibita a servizi civili». —
 

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