Scheggia killer, guerra sui risarcimenti
TRIESTE La tragica fine di Aleks Unussich piomba per la prima volta in un’aula di tribunale. L’uomo, un triestino di quarantaquattro anni, era morto il 17 agosto del 2016 in un campeggio croato di Valle d’Istria, il “Mon Perin”, a causa dell’esplosione di una porta a vetri del padiglione delle docce. Una scheggia gli si era conficcata nel collo tranciando la carotide.
Giovedì 14 dicembre comincia il processo civile. Nel palazzo di giustizia di Pola, per la precisione, che ha diretta competenza nella circoscrizione in cui è avvenuto il fatto. Un passo avanti, si direbbe, perché sul fronte penale continua il muro di gomma dei croati: nonostante sia trascorso quasi un anno e mezzo dall’episodio, sul versante investigativo non si nuove foglia.
Non risulta neppure una perizia sulle vetrate delle docce, nonostante fosse stata disposta già sei mesi fa dalle autorità di Zagabria. Perché sono scoppiate all’improvviso? Per il troppo calore? Ma il materiale è stato sequestrato? Il procedimento penale, aperto dalla Procura di Pisino, risulta quindi a un punto fermo. Uno stallo, insomma, di cui sarebbe stato informato anche il Consolato generale di Fiume.
In attesa di sviluppi in questa direzione, la prima udienza del processo civile si tiene oggi alle 10 e 30. La causa è stata intentata dai famigliari di Aleks Unussich (la vedova, il fratello, la sorella e i genitori), difesi dagli avvocati Silvano Poli e dal croato Boris Modrusan di Pola. Si tratta di un inizio, un’udienza di comparizione delle parti: saranno presenti, oltre ai parenti della vittima, i rappresentanti del “Mon Perin” e del Comune di Valle d’Istria, proprietario del terreno in cui si trova il campeggio.
Una battaglia a tutti gli effetti per portare giustizia a una morte tanto tragica quanto incredibile. Ma per poter proseguire, l’azione civile dovrà prima superare un ostacolo di non poco conto. La questione di fondo è squisitamente legale: per decidere a quanto ammonterà l’entità del risarcimento si dovrà fare riferimento al codice italiano o a quello croato? Il tema è complesso. I legali della famiglia Unussich hanno chiesto al tribunale civile che vengano applicati i criteri di risarcimento italiani, visto che i parenti sono residenti a Trieste. Circostanza, questa, che consentirebbe ti ottenere una somma che si aggira attorno al milione di euro. Con i parametri croati pare non si arrivi oltre i 30 mila euro. Sarà il tribunale di Pola a decidere. «Chiediamo che il risarcimento sia commisurato al nostro tenore di vita e ai nostri criteri e non a quelli stranieri che sono assolutamente inferiori», afferma l’avvocato Poli. «Trentamila euro è una cifra assurda per quanto accaduto».
Sul profilo penale, come detto, è calato il silenzio. Mancano le perizie, così come mancano gli indagati. Sembrava essersi mosso qualcosa lo scorso 14 aprile, quando un magistrato croato aveva convocato l’unico testimone oculare presente nel momento dell’incidente. L’interrogatorio era stato assistito da un interprete, ma il verbale firmato dal teste era poi stato redatto solo in lingua croata, risultando di fatto incomprensibile a chi aveva fatto le dichiarazioni.
Tutto fermo, dunque, nonostante una settimana dopo la tragedia si fossero attivati anche i carabinieri: gli investigatori croati erano stati affiancati da alcuni militari italiani nell’ambito dei rapporti bilaterali tra Italia e Croazia e in particolare con l’Istria. Era stato il questore di Pola a suggerire la procedura.
«Non ho proprio idea di cosa stia accadendo – affermava qualche mese fa Tanja Unussich, la sorella di Aleks – perché non abbiamo contatti con nessuno, se non con i nostri avvocati. Oltre a loro, nessuno ci ha chiamati. Silenzio da tutti, dal campeggio e anche dalla polizia croata».
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