Schede elettorali sparite. Il giallo scuote la Bosnia

Perdute le tracce di 35 tonnellate di carta destinata alla stampa dei tagliandi. La Commissione centrale nega tutto. Invocata una commissione parlamentare

BELGRADO. Tonnellate di carta, destinata alla stampa delle schede elettorali, irreperibili. Il sospetto che i fogli possano essere stati usati per alterare passate elezioni. Accuse infamanti. E sdegnate repliche.

È un vero giallo dai contorni ancora confusi quello che sta provocando forti scossoni in Bosnia, Paese in procinto di affrontare un teso e importante anno elettorale. A far scoppiare il caso è stato il portale sarajevese Zurnal, che nei giorni scorsi ha denunciato la sparizione di «almeno 35,8 tonnellate di carta, destinate alla stampa delle schede elettorali», dai magazzini della Commissione centrale nazionale (Cik) del Paese balcanico. Sparizione non avvenuta in un solo colpo, ma «nel corso degli ultimi dieci anni».

Come è giustificabile un fatto del genere? Zurnal, assicurando di avere in mano documenti - alcuni poi resi pubblici - che confermano l’inquietante vicenda, sostiene che la volatilizzazione delle schede sia stata resa possibile da controlli poco rigorosi e dal fatto che nessun inventario del materiale destinato alle urne sia stato effettuato nell’ultimo decennio. Da qui la facilità di far scomparire tonnellate di carta da cui si sarebbero potute «stampare mezzo milione di schede elettorali», secondo il preciso calcolo del portale bosniaco. E una cifra decisamente importante in un Paese in cui gli aventi diritto al voto sono poco più di tre milioni.

A corroborare le dure accuse del Zurnal – che neppure troppo velatamente ha insinuato dubbi sulla regolarità delle elezioni del 2006 e del 2010 - ci sono documenti prodotti da una commissione interna al Cik che nel 2014 era stata incaricata anche di verificare la quantità di carta utilizzata e di quella ancora giacente. La commissione, ha scritto il portale, aveva in effetti sottolineato l’assenza di un inventario preciso «dal 2004 al 25 febbraio 2014». E aveva al tempo accertato che «per 35.814,616 kg non esiste documentazione» che spieghi dove si trovi il materiale mancante. Ma l’aggrovigliata questione della carta – ovvero sulle sue quantità e sul suo uso -, ha svelato il Zurnal, era stata messa in luce anche nel 2016 dal Collegio dei revisori delle istituzioni bosniache.

Accuse pesanti rigettate l’altro ieri con sdegno dalla Commissione elettorale nazionale, che ha parlato apertamente di «menzogne» e ha assicurato che si tratta solo dell’ultima di una lunga serie di infamie contro il Cik. Anche ieri il Cik, riunitosi, ha fatto quadrato attorno ai suoi componenti e alla presidenza e ha garantito che non manca un grammo di carta. Uno dei suoi rappresentanti, Vlado Rogić, ha parlato apertamente di «campagna mediatica» del fango.

Ma intanto il caso continua a far discutere. Il politologo Jasmin Mujanović, via Twitter, ha denunciato l’«industrializzazione della frode elettorale» e suggerito addirittura che «i tre blocchi nazionalistici che hanno tenuto in scacco dal 1990 la politica nel Paese» avrebbero tratto vantaggio della “carta sparita” per accrescere i propri consensi in modo fraudolento. Allusioni gravi, che andrebbero però supportate da prove concrete. È quanto hanno chiesto, sollecitando la magistratura a intervenire, vari esponenti della scena politica bosniaca, tra cui il potente Partito dell’azione democratica (Sda), che ha specificato che le rivelazioni del Zurnal «mettono in dubbio l’integrità del processo elettorale» e ha chiesto dunque un rapido «chiarimento», assieme alla punizione di «eventuali responsabili».

Posizioni simili sono state espresse da Sasa Magazinović, parlamentare dell’Sdp, che al quotidiano Avaz ha affermato di ritenere che il Cik sia stato «al centro di troppe questioni» poco chiare negli ultimi anni, aspetto che aumenterebbe la «sfiducia» degli elettori. Altri partiti hanno chiesto le dimissioni dei membri del Cik, parlando del «più grave potenziale scandalo» del dopoguerra. E hanno invocato la formazione di una commissione parlamentare d’inchiesta sul caso. Per scongiurare il rischio di gettare un’ombra sul voto d’ottobre.

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