Scelte miopi per le merci e un servizio di serie B

Non solo i viaggiatori ma anche l’economia della città penalizzata da errori commessi più di vent’anni fa dalle Ferrovie. L’inutile interporto di Cervignano
Lasorte Trieste 02/05/2007 - Ferrovia Campi Elisi Porto Nuovo
Lasorte Trieste 02/05/2007 - Ferrovia Campi Elisi Porto Nuovo

TRIESTE

Ben sapevano i triestini che le fortune economiche della città erano – e sono a mio parere –legate al porto e che i collegamenti ferroviari ne erano – e sono – la relativa spina dorsale. Basta infatti evocare la nota canzone popolare che dice che mai più ci mancherà la minestra nella pentola da quando si è aperta la Suedbahn, la ferrovia meridionale che collegava Vienna, Graz, Lubiana e Trieste.

Dal 1857 il percorso di questa arteria di importanza vitale per il porto fu a più riprese modificato sia per scelte tecniche che per la mutata geografia politica, ma resta incomprensibile ed inaccettabile che nel 2012 non si possa raggiungere, nemmeno cambiando il treno l’antica capitale perché arrivati ad Udine bisogna salire su di un pullman che conduce alla stazione di Villaco.

Ma al coro delle denunce sin qui registrate volevo aggiungere un contributo circa il disservizio che le FF.SS. rendono al porto (materia questa già affrontata sul giornale grazie alle considerazioni sempre puntuali e competenti di Luigi Bianchi). Infatti non risale a due secoli fa, ma a poco più di vent’anni, il tempo in cui Trieste era di gran lunga il porto più ferroviario d’Italia e quello che gestiva per circa il 90% del traffico di transito, del traffico cioè delle merci prodotte all’estero e destinate all’estero.

Parlarne oggi quando i tempi di resa sono peggiorati (non c’è più, ad esempio, servizio di consegna dei vagoni la notte) quando bisogna andare a Venezia per negoziare una tariffa ferroviaria per un traffico nuovo da acquisire, sembra quasi soltanto un’operazione di portata storica o nostalgica.

E’ bensì vero che grande è la responsabilità degli organismi economici deputati; essi sono miopi e passabilmente incompetenti – mi riferisco all’Autorità portuale ed alla Camera di commercio – ma è altrettanto vero che c’è una grave responsabilità in capo alle Ferrovie dello Stato per alcune scelte ottuse operate e per altre non fatte, senza tener conto di quanto avveniva aldilà dei confini. Mi riferisco allo smistamento del traffico delle merci che veniva effettuato nella stazione confinaria austriaca di Arnoldstein dove si componevano i convogli destinati al porto, con esclusione dei convogli che trasportavano i contenitori che venivano composti sempre con tempi di resa adeguati nella stazione a gestione privata posta sul confine tra Austria e Baviera nel salisburghese. Nell’intento dimostratosi totalmente vano di sottrarre agli Austriaci i margini di utile gestionale, le FF.SS. proposero l’inutile interporto di Cervignano che, dopo numerosi tentativi tutti falliti di trasferire - anche con il coinvolgimento di privati – le merci dalla gomma alla rotaia e di operare una gestione virtuosa, è rimasta una sorta di cattedrale nel deserto esattamente come è rimasta la stazione oggi vuota di Arnoldstein. Il fatto è che mentre l’Italia ferroviaria regrediva in una crescente dimensione ragioneristico-contabile senza fare gli investimenti necessari e così perdendo sul piano competitivo e commerciale, l’Austria e la Slovenia si accordavano di affidare tutta la gestione merci, compresa la trazione sulla rete slovena, ad una società privata con capitale austriaco e tedesco che ha finito per trasferire il traffico centroeuropeo destinato al sud prevalentemente sul porto di Capodistria Koper, suscitando tra l’altro in Trieste non già una reazione volta a correggere lo stato di cose, bensì una sterile acrimonia verso lo scalo vicino, a torto considerato ostile.

Due sono le obiezioni che vengono avanzate contro gli argomenti che sto proponendo. La prima riguarda il crescente trasferimento delle merci varie nei container con conseguente riduzione dei convogli ferroviari tradizionali, ma non mi pare che siano stati adeguatamente sostenuti da ogni punto di vista gli sforzi della società triestina di trasporto ferroviario containerizzato Alpe Adria.

La seconda ha riferimento al fatto che in ogni modo i conti delle operazioni non tornano e che pur essendo le Ferrovie un’azienda di pubblico servizio bisogna tendere al pareggio di bilancio. Questo argomento merita una riflessione perché i conti resteranno sempre in sofferenza se non migliora la produttività e l’efficacia operativa in termini competitivi con il trasporto camionistico e - per quanto riguarda il traffico di transito perduto - con le ferrovie degli stati confinanti. In particolare se si considera la vicenda in termini macroeconomici con riferimento al cosiddetto Sistema Italia, ogni aumento tariffario non accompagnato da un miglioramento di efficienza sposta soltanto, all’interno del sistema l’onere, dall’azienda di servizio che lo produce all’utente ed il risultato finale non cambia. Diverso risultato si ha invece con il traffico di transito anche se permane l’inefficienza e la mancata copertura dei costi attuali perché l’entrata delle tariffe poste a carico dell’utente estero rappresenta un’attività secca a vantaggio del sistema Italia e realizza anche tecnicamente un’esportazione di servizi.

Ahimè quanto fiato abbiamo sprecato, quanto inchiostro è stato da noi versato su questa materia eppure essa risulta sempre più estranea alla cultura economica nazionale e temo anche locale. Rispetto a quest’ultima ci vorrebbe, ma in altra occasione, un profondo ripensamento che coinvolga numerosi soggetti, sia pubblici che privati. Oggi assistiamo al declinare ed al vacillare dei settori che fondano la nostra economia ed in definitiva hanno prodotto quella relativa ricchezza che ancora ci contraddistingue, ma se prima non ci diamo una regolata in casa nostra e se le Ferrovie non muteranno politica nei confronti di Trieste abbiamo poco futuro davanti a noi, sicchè si può pensare che venga smentita l’affermazione così categorica contenuta nella citata canzone quando afferma che “ la boba in pignata mai più mancherà...»

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