Scappati da guerre e persecuzioni A Trieste i rifugiati sono 64

Il Consorzio italiano di solidarietà ne gestisce 60, altri quattro sono affidati alla Caritas Un’ottantina le persone che attendono di essere sistemate altrove. Le norme nazionali e Ue
Di Pier Paolo Garofalo
Foto Bruni 21.10.13 Centro di solidarietà
Foto Bruni 21.10.13 Centro di solidarietà

Nessun immigrato salvatosi dai recenti naufragi nel Canale di Sicilia è giunto, per lo meno finora, a Trieste. Le strade e le piazze della città negli ultimi anni si riempiono sempre più, a ogni stagione, di stranieri: un dato evidente. Ma in città i rifugiati e i richiedenti asilo - tali sono “classificati” i disperati delle carrette del mare e quelli, ben più numerosi, che giungono qui lungo la “rotta balcanica” - sono ufficialmente 64. Più 80 circa in attesa di sistemazione altrove.

Distinzione importante, quella tra semplice “straniero” e “rifugiato o richiedente asilo”. Perché a differenza della gran parte degli stranieri che vivono in Italia e che ricadono nella prima categoria, quelli della seconda usufruiscono gratuitamente di una lunga serie di servizi e agevolazioni, fornita da una rete nazionale. Facilitazioni finanziate, come i compensi agli operatori dell’accoglienza, dal Ministero dell’interno: per Trieste i 64 costano circa 600mila euro l’anno, mentre altri 30 sono sostenuti con 150mila euro “ad hoc”.

Quello sulle qualifiche da attribuire a chi arriva nella Penisola e quindi sul trattamento da riservargli è un equivoco sul quale negli anni in molti tra autorità, politici ed “esperti” hanno speculato, complice anche l’ignoranza (in senso etimologico) del cittadino comune. In pratica l’immaginario del rifugiato politico che approda in Occidente dopo avere subito vessazioni di ogni sorta, o peggio dopo avere vissuto ferite, anche fisiche, sulla propria pelle a causa di regimi dispotici, di polizia violenta, di guerriglia o altro, riguarda una percentuale irrisoria di chi, in parole grezze, cerca un futuro migliore da noi. «La protezione dei rifugiati discende dalla Convenzione di Ginevra del 1951, che prevedeva il presupposto della persecuzione diretta e individuale del soggetto in questione e la cui applicazione nel tempo ha avuto connotati sempre più estensivi» spiega Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà (Ics nell’acronimo inglese) di Trieste. La Onlus (organizzazione non lucrativa di utilità sociale) di Trieste gestisce 60 dei 64 rifugiati locali, gli altri 4 essendo affidati alla Caritas: ogni ospite costa, tutto compreso, 27,80 euro al giorno. Le loro - come si legge qui sotto - sono storie di disperazione e di fuga da condizioni durissime. «Oltre alla protezione e all’appoggio previsti dalla Convenzione di Ginevra - continua Schiavone - il diritto dell’Unione europea dal 2004, recepito dall’Italia, ha istituito una seconda forma di protezione, detta “sussidiaria”, rivolta a chi non è stato vittima di una persecuzione individuale». Per essere considerati rifugiati occorre essere in fuga da situazioni di conflitto o di violenza generalizzata, anche senza esserne stati toccati, o essere in pericolo in caso di ritorno. In più in Italia vale, oltre a tali protezioni internazionali, una forma di protezione umanitaria. «Riguarda pochi casi - sottolinea Schiavone - e prevede possano fare domanda d’asilo anche i non rifugiati che però non possono rimpatriare a esempio a causa dell’età o perché colpiti da malattie lì non curabili». A rifugiati e “asilanti” vengono garantiti, oltre che vitto e alloggio, cure mediche, trasporti, assistenza psicologica e legale, ricerca di alloggio e lavoro. «Secondo i criteri moderni i potenziali beneficiari di tali norme che potrebbero bussare alle porte dell’Occidente sono centinaia di migliaia, anzi milioni, decine di milioni» nota Gianandrea Gaiani, direttore del Web magazine “Analisidifesa.it” commentando anche l’inizio della Missione Mare nostrum nel Mediterraneo. «Difficile però immaginare di poter scoraggiare i trafficanti aiutando i loro “clienti” a raggiungere l’Italia».

«Se il compito è solo quello di soccorrere in mare e portare in Italia gli immigrati africani allora la missione rischia di essere senza fine perché la nostra presenza navale incoraggerà i flussi migratori e ingigantirà il business delle organizzazioni criminali» conclude, non senza provocare. «Che deterrenza potrà mai costituire per gli scafisti il rischio di venire arrestati da un Paese che sta per varare l’ennesimo indulto svuota carceri?»

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