Scandalo Mose, la Camera vota sì all'arresto di Galan

Con 395 voti a favore, 138 contrari e due astenuti è stata approvata la richiesta di misura cautelare avanzata dalla Procura di Venezia nei confronti del deputato ed ex presidente della Regione Veneto. E' già in carcere a Opera
Giancarlo Galan
Giancarlo Galan

Per la settima volta nella sua storia, la Camera apre le porte del carcere a uno dei suoi deputati. L’ultima entra negli annali di Montecitorio con la data di ieri. Giancarlo Galan, parlamentare di Forza Italia, ex ministro, ex governatore del Veneto, sotto accusa per corruzione nell’inchiesta della procura di Venezia sullo scandalo Mose, è stato arrestato ieri sera dopo il voto a scrutinio segreto con cui la Camera, poco dopo le 14, ha votato sì alla richiesta di autorizzazione a procedere : 395 i voti favorevoli, 138 i contrari, due gli astenuti.

Il tabellone col risultato della votazione
Il tabellone col risultato della votazione

A esprimersi a favore dell’arresto Pd, M5S, Sel, Scelta civica, Lega, Led (gli ex di Sel) e Fratelli d’Italia-An. Schierati contro Forza Italia, Ncd, Psi e Maie-Api. Il Pd tuttavia registra il maggior numero di assenti: mancano in 17, tra cui Pier Luigi Bersani, Pippo Civati e Stefano Fassina, presente invece l’ex premier Enrico Letta. Ma defezioni «ingiustificate», denuncia Renato Brunetta, si notano anche dentro Forza Italia. Appena sei ore dopo il voto, poco dopo le 20, la Guardia di finanza notifica a Galan nella sua casa di Cinto Euganeo, Padova, l'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Venezia il 4 giugno, e l’ex ministro viene condotto a bordo di un’ambulanza nel carcere di Opera, a Milano.

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Silvio Berlusconi, che in serata lo ha chiamato per esprimergli la propria solidarietà, si dice «profondamente addolorato» e «assolutamente certo» della correttezza dell’amico. I difensori, Antonio Franchini e Niccolò Ghedini, parlano di «precedente assai preoccupante» perché la votazione si è svolta in assenza dell’ex ministro, «che avrebbe voluto essere in aula per difendersi». Galan apprende della decisione di Montecitorio in una camera dell’ospedale di Este, dov’è ricoverato dal 12 luglio dopo una frattura alla gamba in un incidente domestico.

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Giancarlo Galan, ex governatore del Veneto e ora parlamentare Fi

Ma mentre Roma decide il suo destino, arriva a sorpresa la lettera con cui i medici dispongono le sue dimissioni. «Sono incazzato, e sapete benissimo con chi» reagisce lasciando la struttura sanitaria in carrozzina prima di salire in ambulanza. «È imbestialito e incredulo, si sente tradito due volte», lo descrive chi gli è vicino. Per capire cosa lo aspetta, arrivato a casa, chiama i carabinieri. Sa che manca poco all’arresto.

Fonti mediche intanto fanno sapere che le dimissioni erano state decise ieri, perché i valori clinici sono tornati nella normalità e può essere curato a domicilio: è sottoposto ogni 4 ore al controllo della glicemia, riceve terapie per le apnee notturne, per il diabete, e deve restare con la gamba ingessata in estensione fino al 20 agosto. È a casa, dunque, che comincia l’attesa che l’ordinanza di custodia cautelare venga eseguita. I suoi avvocati annunciano l’intenzione di presentare immediatamente un richiesta di arresti domiciliari. Per il suo partito il sì all’arresto senza consentire a Galan di parlare in aula è una «barbarie». Per questo in mattinata Forza Italia tenta senza riuscirci di far rinviare il voto, richiesta avanzata dallo stesso Galan lunedì, in una lettera, alla presidente della Camera Laura Boldrini. La proposta però viene bocciata con i voti di Pd, M5S e Sel. «Non si può trasformare la Camera in una piazza incontrollata in cui non c’è diritto» accusa Francesco Paolo Sisto. «È stato ascoltato dalla Giunta per tutto il tempo che ha ritenuto» sostiene la deputata dem Sofia Amodio, mentre secondo Giulia Grillo, M5S, «non ci sono cittadini di serie A e di serie B». Anche per Lega e FdI (che aveva detto sì al rinvio) si va avanti: «Riteniamo che non ci sia fumus persecutionis» sottolineano, con l’Ncd che parla invece di «pericolose tentazioni giustizialiste»: «Sono contro questa forma efferata di sentenze anticipate» osserva Fabrizio Cicchitto. Ma «l’era dei Dogi», dice Roger De Menech, segretario del Pd veneto, «è finita».

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