Scala Santa, le 5 fontane del cielo sopra Roiano

di Maurizio Lozei
Si chiama Scala Santa, ma di scale nemmeno l’ombra. È una salita eccellente, da “grimpeur” allenati, che collega Roiano all’Obelisco. Due chilometri e diversi tratti di pendenza, superiori al 20 per cento.
Prima dell’ascesa, però, un po’ di storia e di toponimi. La “Scala Santa”, per la tradizione cristiana, era quella che Cristo salì per raggiungere il Sinedrio e presentarsi al cospetto di Ponzio Pilato. La leggenda vuole sia stata traslata da Gerusalemme e incastonata in un santuario compreso nella Basilica romana di San Giovanni Laterano. La tradizione impone di salirla in ginocchio per presentarsi di fronte al “Sancta Santorum” e ottenere un’indulgenza di 100 giorni per i propri peccati.
Ma la “Scala Santa” romana, con quella triestina ha poco a che fare. È probabile che la denominazione sia un antico mix tra il vocabolo sloveno skala, che significa roccia, e l’aggettivo italiano santa. Questo perché nella parte superiore della strada l’acqua sgorgava, e ancora sgorga, copiosa. “Roccia Santa”, dunque, ecco il toponimo, roccia di arenaria e marna dalla quale scaturiva quell’acqua che in altipiano era merce rara.
La salita parte dall’area in cui confluiscono via Villan de Bachino, via Montorsino e via Giusti. L’inizio sembra agevole, ma basta girare la prima curva e la strada comincia a ergersi. Niente di tale, anche se dà noia il traffico veicolare in una strettoia che muta subito in una camera a gas. Doppiata la prima fontana – la prima di una serie – si raggiunge una sorta di piazzetta. E da qui si fa sul serio: ecco una rampa dalla forte pendenza, il sudore comincia a imperlare la fronte. Sulla sinistra, una trentina di metri più avanti, l’edificio di quella che un tempo era l’osteria di “Doro”. Perché dei negozi e delle trattorie di Scala Santa, oggi, non è rimasto più nulla. Raggiunta la prima sommità, si respira prima di affrontare il tornantino a destra e affrontare un altro tratto ripido. Sulla destra il blu del mare e la verde collina di Gretta. Tante le auto e gli scooter aggrappati ai marciapiedi. La salita non da requie. Il grimpeur con la “due piedi super” stringe i denti e soffre sull’ennesimo strappo che porta ancora più in alto, all’altezza della terza fontana, dove le ruspe hanno cancellato la vecchia osteria di “Mondo” per far posto a nuove villette. L’intervento edilizio ha scatenato recentemente l’ira e la paura dei residenti.
All’altezza del civico 147 c’è un segnale che indica l’inizio di Trieste. Un po’ più avanti la proprietà della famiglia Ralli con tre querce possenti e meravigliose. Ancora un paio di curve - la maglietta è ormai zuppa - e si tira il fiato in località “Stajce”, toponimo che indica come un tempo questa fosse zona di pascolo. La strada riprende a salire, se possibile, ancora con maggior cattiveria. A destra ci sono i pastini del viticoltore Stanko Hrovatin, che assieme all’ingegnere Tullio Dodini continua a produrre il vino di Scala Santa. Passato il ponte sulla ferrovia, nascosto tra l’edera, il cippo in tedesco che un tempo segnava un dazio doganale. Il tempo di ritrovare il colpo di “gamba” e di voltare a destra dopo aver lasciato alle spalle il nuovo comprensorio della Sissa, ecco inerpicarsi l’ultimo tratto privo di curve e con una vista spettacolare. Il piazzale dell’Obelisco non è lontano, con l’acqua della fontana, le panchine e il caro vecchio tram pronto a sferragliare verso Scorcola e il centro.
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