Sbarcato in porto a Trieste l’attentatore di Londra
TRIESTE. È passato per Trieste il viaggio che ha portato a Londra Ahmed Hassan, il diciottenne iracheno incriminato dagli inquirenti inglesi per il fallito attentato che la settimana scorsa ha ferito venti persone sulla metropolitana della capitale britannica. Come riporta il quotidiano La Repubblica, le indagini hanno ricostruito l’itinerario seguito da Hassan, spinto in Europa nel 2015, durante la prima ondata di migrazioni prodotta dall’avanzata dell’Isis. Il giovane sbarcò proprio nel porto di Trieste, a bordo di una nave partita dalla Turchia il 26 agosto di quell’anno e nello scalo giuliano fu immediatamente fermato dalla polizia, dichiarando di essere un minorenne di nazionalità siriana.
Hassan venne affidato a una casa famiglia, ma vi rimase solo per quattro giorni, facendo perdere le sue tracce e non fruendo dunque del regime di protezione spettante ai minori non accompagnati. Dalle prime ricostruzioni delle autorità italiane, l’iracheno avrebbe fornito un nome falso. Indagini sarebbero ora in corso da parte di Digos e Ros su frequentazioni e rapporti avuti nel breve soggiorno triestino, probabilmente di poco superiore a una settimana. Per il momento, la procura esclude che il ragazzo avesse una qualche particolare missione da compiere all’arrivo in Italia. Il procuratore capo di Trieste, Carlo Mastelloni, conferma che Hassan «era arrivato da clandestino due anni fa» in città, dove «è rimasto qualche giorno». Una casualità, dunque, rispetto a un quadro locale che Mastelloni ritiene non preoccupante: «Al momento non ci sono evidenze di radicalizzazione in questo territorio».
Il presidente dell’Ics, Gianfranco Schiavone, racconta che «nell’agosto 2015 ci furono diversi arrivi di piccoli gruppi in porto, anche se allo stato attuale non possiamo dire se il giovane sia arrivato da solo o in gruppo. Noi siamo intervenuti varie volte per fornire la prima assistenza e l’accesso alla procedura d’asilo, ma i minori non accompagnati non passano per le strutture dell’Ics o della Caritas». Secondo Gorazd Pučnik, direttore della Casa dello studente sloveno, che oggi ospita a Trieste una notevole quantità di minori stranieri, «in quel periodo di arrivi ce ne furono moltissimi ed è difficile dire in quale delle strutture fu ospitato Hassan: oltre a noi, infatti, l’accoglienza ai minori era all’epoca svolta da diverse comunità». La frequenza degli arrivi provocò a dicembre anche il dislocamento in porto di una parte del contingente di militari impegnato in attività antiterroristiche, probabilmente motivato dal ritrovamento nelle settimane precedenti di venti siriani e iracheni, in maggioranza donne e bambini, nascosti nel rimorchio di un tir imbarcato su un traghetto partito da Istanbul e attraccato in Molo VI.
Qualche mese dopo il suo passaggio a Trieste, Hassan risulta presente in Inghilterra, ospite in un’abitazione a Sunbury-on-Thames, dove due cittadini britannici hanno cresciuto in quarant’anni quasi trecento ragazzi, fra cui molti rifugiati dal Medioriente, con un’attività premiata dalla casa reale. Stando alle dichiarazioni del procuratore Lee Ingham, l’iracheno ha tuttavia continuato a covare odio per il paese che gli aveva dato rifugio. Da quanto emerge, infatti, i suoi genitori sarebbero stati uccisi da un bombardamento condotto nel 2003 dalla coalizione a guida angloamericana. Il desiderio di vendetta è arrivato al punto di convincere il ragazzo a rendersi protagonista dell’attentato del 15 settembre alla fermata di Parson Greeen, dove un ordigno artigianale ha prodotto danni limitati alla carrozza e ustioni ai passeggeri.
Una tentata strage, fallita per il malfunzionamento dell’innesco di una «bomba potenzialmente devastante, che avrebbe potuto provocare un massacro», come ha spiegato il capo della polizia di Londra Cressida Dick. Hassan è stato rintracciato e catturato a Dover il giorno dopo l’esplosione, mentre tentava di imbarcarsi su un traghetto per la Francia. Oltre al giovane iracheno sono state fermate altre sei persone, ma solo due di esse sono al momento in carcere.
Quella di Hassan non è la prima vicenda che collega Trieste al passaggio di elementi coinvolti in attività di stampo terroristico. Risale al maggio 2016 il caso della foto scattata dall’afgano Qari Khesta Mir Akhmazai sul “Ponte curto” a sei connazionali, tutti ospitati nei centri di accoglienza della città e completamente estranei ad attività illegali. L’immagine era stata ritrovata nel cellulare dell’uomo, durante le indagini effettuate in Puglia su un gruppo di persone sospettate di far parte di una cellula vicina all’Isis e operante a Bari. L’accusa era inizialmente caduta, ma risale al giugno scorso la conferma dell’arresto di uno dei presunti complici di Akhmazai, che ora risulta irreperibile alle autorità italiane e che verrà sottoposto da latitante dall’udienza preliminare per il rinvio a giudizio.
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