Savina Caylyn liberata dopo 10 mesi d’incubo, a Trieste gioia per Bon

Tornano a casa i cinque ostaggi italiani tra cui il triestino Bon I sequestratori somali: «Riscatto ritirato». La Farnesina nega
ca. 1990s, Indonesia --- In Batam, Indonesia pirates operate out of Riau Islands. Piracy is a big problem in the South China Sea and has been furthered by corrupt officials. Pirates practice boarding ships with bamboo rod with hook. | Location: Riau Island, Indonesia. --- Image by © Michael S. Yamashita/CORBIS
ca. 1990s, Indonesia --- In Batam, Indonesia pirates operate out of Riau Islands. Piracy is a big problem in the South China Sea and has been furthered by corrupt officials. Pirates practice boarding ships with bamboo rod with hook. | Location: Riau Island, Indonesia. --- Image by © Michael S. Yamashita/CORBIS

ROMA

Incubo finito per i cinque marinai italiani ostaggio da febbraio dei pirati somali: la petroliera Savina Caylyn e i 22 membri dell’equipaggio sono stati liberati ieri scatenando la gioia a Procida, Sorrento, Trieste e Gaeta, le città natali dei cinque. Grande soddisfazione delle istituzioni, espressa dal presidente Giorgio Napolitano, dal premier Mario Monti e dal ministro degli Esteri Giulio Terzi.

La Farnesina e la società armatrice Fratelli D’Amato sottolineano che nell’operazione «non c’è stato nessun blitz, nè tantomeno pagato un riscatto». Il governo italiano, recita una nota del ministero degli Esteri, ha «evitato qualsiasi azione di tipo militare» per garantire la sicurezza dei 5 italiani e non ha «mai contemplato» l’ipotesi di una «trattativa con i pirati» o il «pagamento di riscatti» per la liberazione della nave.

I pirati somali affermano invece che per la liberazione dei cinque italiani e di 17 indiani hanno ricevuto «11,5 milioni di dollari» in due tranche. Dopo aver recuperato «8,5 milioni di dollari lanciati da un elicottero», gli indiani sono stati rilasciati su piccole barche. Successivamente «sono stati lanciati altri 3 milioni e abbiamo lasciato la nave e liberato i cinque italiani», ha detto un membro della banda di pirati che teneva la nave in ostaggio.

L’attacco alla petroliera italiana (da 105 mila tonnellate) era avvenuto in pieno Oceano Indiano l’8 febbraio scorso. Il comandante, l’italiano Giuseppe Lubrano Lavadera, originario di Procida come il terzo ufficiale Crescenzo Guardascione, ha tentato di sfuggire all’assalto compiendo delle manovre evasive, con repentini cambi di rotta e velocità, ma i malviventi non hanno esitato a usare mitra e lanciarazzi Rpg, riuscendo così a salire a bordo e ad impossessarsi della nave. Nelle loro mani sono finiti anche Gianmaria Cesaro di Sorrento, Antonio Verrecchia di Gaeta, ed Eugenio Bon di Trieste.

Poi mesi di privazioni, minacce, violenze. «Ci stanno torturando, stiamo morendo, aiutateci», ha detto Verrecchia poche settimane fa, in una telefonata a “Chi l’ha visto”. «Ogni volta che si avvicinano o navi militari o un elicottero in perlustrazione per noi sono problemi grossi, prendiamo botte, violenze, insulti», gli ha fatto eco in quell’occasione Eugenio Bon. In questi mesi si sono susseguiti appelli, cortei, fiaccolate per chiedere lo loro liberazione.

«Ho appreso con grande soddisfazione la notizia della liberazione, dopo lunghi mesi di ansia, della nave italiana Savina Caylyn e dei nostri marittimi su di essa imbarcati. Sono stato partecipe della mobilitazione dei familiari e delle autorità locali, e mi congratulo vivamente con il Ministero degli Esteri e con le Forze Armate, in particolare con la missione che esse svolgono nella cruciale area delle coste del Corno d’Africa, per la positiva conclusione dell’operazione in quanto parte integrante dell’impegno per la sicurezza dei nostri traffici e del nostro personale». È quanto ha affermato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E soddisfazione è stata espressa anche dal ministro degli Esteri Giulio Terzi e dai presidenti del Senato Renato Schifani e della Camera Gianfranco Fini.

Nelle mani dei pirati somali restano altre 200 persone, sottolineano i responsabili della missione navale antipirateria dell’Ue, Atlanta, che definiscono la situazione «una tragedia umanitaria». «Ci sono 199 uomini e una donna attualmente ostaggio delle bande di pirati in Somalia», si legge in una nota dell’organizzazione.

Dall’inizio della missione, a dicembre del 2008, sono stati complessivamente presi in ostaggio 2.317 marinai, rimasti prigionieri mediamente cinque mesi, 19 mesi in casi record. Almeno 60 di loro sono morti, mentre altri «hanno subito torture e sono stati vittime di abusi». Atlanta mette in guardia contro la “nuova tecnica” utilizzata dai pirati somali: rilasciare le navi ma tenere in ostaggio parte degli equipaggi per scambiarla con i compagni arrestati.

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